Si sono aperte le ostilità e, se non avete sentito scoppi e spari, non è stato certo il vento della bufera odierna ad attutirne il rumore.

I moderni conflitti si combattono alla tastiera e certe righe di codice informatico hanno capacità di perforare le più robuste corazze digitali. Lo scenario bellico ora è tutto italiano. Ed è stato preceduto da una vera e propria dichiarazione di guerra che su Youtube ha subito collezionato migliaia di visualizzazioni.

Da una parte i “soliti” attivisti della filiale tricolore di Anonymous, dall’altra istituzioni, università ed enti pubblici presi di mira nell’ambito dell’operazione “#FifthOfNovember”. Dopo i primi arrembaggi e i corrispondenti saccheggi di dati (culminati con la pubblicazione sulla piattaforma di condivisione “Pastebin” di tutto il materiale indebitamente prelevato). Ogni giorno – questa la promessa dei pirati informatici – saranno divulgati contenuti che avrebbero dovuto rimanere riservati.

Il pretesto è l’avvicinarsi del 5 novembre. La data – ormai prossima sul calendario – è fatidica per gli anarchici che rammentano il “Gunpowder Plot”, la “Congiura delle polveri” avvenuta a Londra ormai 413 anni fa. Quel complotto ai danni del re Giacomo I d’Inghilterra era stato guidato dal cospiratore Guy “Guido” Fawkes che, ex capitano agli ordini di Sir William Stanley, celava il suo volto sotto una maschera (circostanza che spiega l’iconografia del gruppo di hackers). La sua azione – simile a quella che cent’anni dopo rese immortale Pietro Micca – non giunse a conclusione ma, divenuta comunque un simbolo, adesso è lo spunto delle iniziative di Anonymous.

Lo spavaldo atteggiamento di Fawkes dinanzi alla corte di giustizia (il tizio muore impiccato il 31 gennaio 1606) infervora gli animi dei ribelli telematici che per l’occasione sfoderano l’hashtag #BlackWeek che sottolinea l’intenzione di far durare la battaglia tutta la settimana, una “settimana nera” dal 29 ottobre al successivo 5 novembre. Secondo le inquietanti premesse e le minacciose promesse le istituzioni verranno messe a dura prova.

Come nelle formazioni di governo, anche sul fronte degli attaccanti è stata realizzata una coalizione (che, a differenza di quelle politiche, ha omogeneità di pensiero e di obiettivi). Al fianco di Anonymous (che nel 2012 colpì il blog di Beppe Grillo e tra le ultime gesta vanta lo scippo di 70mila mail della Lega e di Salvini) si sono schierati due compagini meno conosciute ma comunque temibili, Lulzsec Italia e Antisec Italia. La delegazione nazionale di Lulzsec, ad esempio, fa capo all’organizzazione che nel 2011 assalì il database degli utenti della Sony Pictures e l’anno successivo fece finire offline il sito web della CIA. In realtà – a voler far paragoni con il nostro Parlamento – la squadra ricorda molto il “Gruppo Misto” in cui confluiscono soggetti caratterizzati dalla più diversa provenienza. La forza di queste aggregazioni è l’inserimento di candidature spontanee che – rispettose della regola dell’anonimato – si rendono disponibili ad agire per una sorta di “marchio” in franchising.

L’aggressione virtuale è iniziata puntualmente (io, storico ritardatario, non avrei fatto grande carriera come hacker) ed è andata a colpire la faccia universitaria del poliedro istituzionale. Il contenuto di una settantina di server di Atenei e Campus sarebbero stati fagocitati dalla voracità di chi dice di averne fatto copia indebita per poi divulgare dati sensibili a comprova dell’avvenuto blitz.

L’acquisizione illegale dei dati prelude, purtroppo, ad altre azioni. Non è difficile immaginare che la gente di Anonymous, dopo aver annunciato fuoco e fiamme, si accontenti di così poco.

La paura è quella di un devastante “denial of service”, operazione mirata a mandare fuori servizio le reti e i grandi sistemi informatici che gestiscono servizi essenziali, quelle ritrite “infrastrutture critiche” di cui tanto si parla e per le quali probabilmente non si fa abbastanza.

Chi ha buona memoria (e soprattutto ha la ventura di occuparsi di queste cose da troppo tempo) ha ben presente un’altra data di cui ricorre – proprio in questi giorni – il trentennale.

Il 2 novembre 1988 (qualche anno prima che sbarcasse il web) Robert Morris jr. mandò in tilt seimila importanti centri di calcolo interconnessi grazie ad un Internet che all’epoca era “disabitato” ma già incredibilmente avveniristico. “Bob” fece un disastro epocale con un semplice “worm” che – come un verme in una mela – penetrò le procedure dei calcolatori dell’università di Stanford, chiese di replicarsi fino alla saturazione delle risorse disponibili e poi di essere trasmesso agli elaboratori raggiungibili attraverso la Rete perché ripetessero la medesima sequenza di operazioni. Mutuando la ricorrenza religiosa, anziché far riferimento al giorno dei defunti si parlò di “notte dei morti informatici”…

Speriamo che il braccio di ferro tra pirati e “resto del mondo” si limiti a beffe meramente dimostrative, perché qualsiasi incidente paleserebbe una sostanziale impreparazione del Sistema Paese a gestire emergenze la cui soluzione era – da tempo – indifferibile.

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