Ha parlato per quasi tre ore raccontando come la società Autostrade fosse al corrente delle anomalie sulla pila 9 del ponte Morandi già tre anni prima del crollo che il 14 agosto scorso ha ucciso 43 persone. E che si cercò di correre ai ripari nel 2015. Il primo dirigente di Aspi a parlare davanti ai magistrati della procura di Genova si chiama Mario Bergamo, ex direttore del settore manutenzioni e attuale amministratore delegato dell’autostrada Tirrenica (controllata da Aspi). Bergamo è indagato insieme ad altre 20 persone oltre alle due società Autostrade e Spea.

“Nel 2015 – ha spiegato – ricevemmo dei dati sullo stato del viadotto che ci fecero avviare il progetto di retrofitting nello stesso anno. Quei dati mi fecero notare un problema importante. Andai via da Autostrade nel 2016, non so perché si bloccò il progetto. Non ho avuto occasione di confrontarmi con i colleghi”. Il progetto di retrofitting (il rinforzo delle pile 9 e 10) era stato approvato dal consiglio di amministrazione di Aspi un anno fa. Venne poi inviato al ministero delle infrastrutture a dicembre. Il documento passò al comitato tecnico del provveditorato che lo approvò il primo febbraio 2018, sollevando alcuni rilevi, per poi essere trasmesso di nuovo al dicastero a marzo. Al ministero ottenne l’approvazione definitiva a giugno e i lavori sarebbero partiti tra ottobre di quest’anno e l’inizio del 2019.

Non erano dati allarmanti, ma segnalavano anomalie – ha continuato Bergamo – tali da avviare l’iter del progetto. Lessi le relazioni trimestrali di Spea, era tutto evidenziato in quei documenti. Il mio progetto prevedeva cavi esterni sugli stralli della pila 9 in aggiunta a quelli già esistenti”. Perché il progetto rimase fermo per quasi tre anni non è ancora chiaro.  Secondo i militari del primo gruppo della guardia di finanza, agli ordini dei colonnelli Ivan Bixio e Giampaolo Lo Turco, è possibile che le manutenzioni ordinarie fossero state rinviate, nonostante la consapevolezza dell’ammaloramento del viadotto, per potere poi scaricare i costi con l’aumento del pedaggio.

Nel 2017, infatti, Aspi presentò al ministero delle Infrastrutture il progetto di retrofitting. Una qualifica che lo inquadrava come intervento migliorativo dell’opera e non come semplice manutenzione (i cui costi sarebbero altrimenti ricaduti solo su Aspi). Un comportamento “azzardato“, secondo gli inquirenti, che nelle scorse settimane hanno anche contestato per questo l’aggravante della colpa cosciente.

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