“Amo l’Italia, mi piace vivere qui. In Italia ho vissuto la maggior parte della mia vita: qui ho studiato, qui ho i miei amici. In Albania ci torno, certo, ma come turista”. Ermir Lushnjari è arrivato in Italia su una nave nel marzo del 1999, quando aveva 15 anni. “L’Albania era nel caos dopo il crollo finanziario, e così la mia famiglia, come altre, ha deciso di lasciare il Paese”. Oggi questo ragazzone nato a Fier, a cento chilometri a sud di Tirana, ha 35 anni: quando era bambino aiutava suo zio nel mercato domenicale, quando è arrivato in Italia ha lavorato per undici anni come falegname, studiando sui libri nel tempo libero, concludendo prima le superiori, poi l’università. Si è laureato in giurisprudenza, lavora in uno studio legale di Verbania e ha appena lanciato Caj Mali, l’app per “aiutare i migranti come me”. Il nome si riferisce al tè di montagna che Ermir beveva in Albania, curativo ed efficace, e il programma permette a chi è alle prese con procedure legali di capire cosa fare con un linguaggio lontano dalla burocrazia.

In Italia Ermir ci è arrivato a 15 anni a bordo di una nave, da irregolare: “Di fatto molti miei connazionali erano obbligati a vivere da clandestini aspettando la sanatoria di turno – racconta –. Sarebbe stato tutto più semplice se ci fossero stati dei visti di lavoro: nessuno avrebbe rischiato la vita in mare con mezzi di fortuna, peraltro alimentando la criminalità”. Quando Ermir è sbarcato ha finalmente ritrovato la sua famiglia: “Non vedevo i miei genitori da sei mesi. Con mio fratello, invece, non ci vedevamo da più di due anni”.

Molti miei connazionali erano obbligati a vivere da clandestini aspettando la sanatoria di turno

Per Ermir Italia e Albania sono come “due cugini che non si frequentano e non si parlano tra loro”. La difficoltà più grande in questi anni è stata proprio il rapporto con la burocrazia. “L’Italia intesa come Stato è complicata: anche solo poter entrare legalmente o chiedere un visto era quasi impossibile per me e per i miei connazionali”. La burocrazia, anzi, rende le cose difficili “persino per un italiano – sorride Ermir –. Con norme semplici e chiare si potevano e si potrebbero evitare molte tragedie in mare”. Come quella del 28 marzo 1997 nel canale di Otranto, che “non riesco a togliermi dalla testa”. Col tempo Ermir ha conosciuto tanti italiani, diventati poi amici, che lo hanno aiutato. “Da quando sono venuto ho sempre lavorato a tempo pieno e ho studiato contemporaneamente”, racconta.

In vent’anni anni trascorsi in Italia Ermir non si è mai sentito denigrato in quanto straniero. “Denigrato no, ma ho sentito spesso diffidenza nei miei confronti. Forse perché l’Albania è un Paese di cui, ancora oggi, si parla poco”. E Ermir ha le idee chiare su cosa dovrebbe puntare oggi l’Italia: l’integrazione. “Col calo demografico e i tanti laureati che emigrano il Paese ha bisogno di riorganizzarsi e fare politiche di crescita, sviluppo sociale, istruzione competitiva. Ci sono tutte le risorse per riprendersi economicamente e gli immigranti possono essere d’aiuto. I primi a beneficiarne saranno gli stessi italiani“.

Uno straniero, a prescindere o meno dalla cittadinanza, è integrato se rispetta e ama il Paese che lo accoglie

Il futuro? Forse in Albania, un giorno. “In Italia ho ricevuto una buona preparazione negli studi, ma purtroppo oggi non ci sono tante possibilità di lavoro”. E poi Tirana non è così lontana: “Tra noi organizziamo spesso feste con musica e cucina tradizionale. E ovviamente invitiamo anche i nostri amici italiani”. Su un punto Ermir è chiaro: “Sono dell’idea che per diventare italiano non basti avere il passaporto. Bisogna invece rispettare e condividere la cultura e la storia d’Italia. Uno straniero, a prescindere o meno dalla cittadinanza, è integrato se rispetta e ama il Paese che lo accoglie”. Per lui il giorno più bello degli ultimi vent’anni è quando ha preso la cittadinanza italiana: “C’erano tutti, i miei parenti, i miei amici, i miei nuovi colleghi. Ma io mi sentivo italiano già da prima”.

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