Il 16 ottobre 2009 la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Roma contatta un carabiniere che viene poi identificato in Vincenzo Nicolardi, secondo quanto riportato negli atti depositati in aula dal pm romano Giovanni Musarò. Stefano Cucchi – arrestato poche ore prima – deve essere trasportato in ospedale. Nicolardi non è un carabiniere qualsiasi: è uno degli imputati – è accusato di calunnia – nel processo Cucchi bis ora in corso in Corte d’assise d’Appello. “Senti mi ha chiamato Tor Sapienza, la stazione… dice che lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce l’avete portato, se stanotte o ieri… che sta andando al policlinico, all’ospedale, che dice che si sente male, che c’ha attacchi epilettici e compagnia bella”, dicono dalla centrale operativa. “E vabbé – risponde Nicolardi – chiamasse l’ambulanza“. “L’ambulanza è stata già chiamata – rispondono – è per seguire le vicende di quello, quello è l’arrestato della stazione Appia”. “Eh, lo so”, dice Nicolardi. “E appunto, vedete che fine fa”, continua la centrale operativa. E la risposta di Nicolardi (sempre secondo gli atti) è agghiacciante: “Magari morisse, li mortacci sua oh“. “E lo so – risponde la centrale – ma siccome è detenuto in cella non è che può andare per i fatti suoi”. E Nicolardi spiega: “No, non è quello. Il discorso è questo: è che da oggi pomerigg io che noi stiamo sbattendo con questo qua

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