Doveva essere il provvedimento con cui “chiudere le cartelle sotto i 100mila euro per liberare milioni di italiani inconsapevoli ostaggi” del Fisco. O almeno, così lo aveva descritto a metà giugno, il vicepremier Matteo Salvini. Si è trasformato invece in un piccolo condono tombale con al seguito rottamazione, sconti su liti pendenti e stralcio dei debiti fino a mille euro. Tutti provvedimenti che entreranno nella fase operativa con la pubblicazione del testo del decreto fiscale in Gazzetta Ufficiale. Tecnicamente la prima delusione sta negli importi che il governo avrebbe dovuto recuperare grazie alle misure messe in campo. Complessivamente, secondo le aspettative di Lega e Movimento 5 Stelle, gli interventi finalizzati a rendere il Fisco amico avrebbero dovuto portare nelle casse pubbliche qualche miliardo utile a finanziare reddito di cittadinanza e flat tax. Ma la relazione tecnica al decreto non quantifica gli introiti della pace fiscale e delle intese sulle liti pendenti. Chiarisce solo che l’effetto combinato di rottamazione ter, e stralcio delle micro-cartelle porterà nel 2018 ad una perdita di oltre 41 milioni, cui si aggiungeranno altri 3 milioni nel 2019. Per avere un risultato positivo bisognerà attendere i due anni successivi con incassi per 1,6 miliardi nel 2020 e per oltre 2 miliardi dal 2021.

Sin dalla campagna elettorale la Lega aveva puntato su una pace fiscale ben più generosa per gli evasori, ma dai dettagli non definiti. Così, in assenza di una bozza, sin da subito, gli addetti ai lavori hanno ipotizzato che il governo puntasse ad una nuova rottamazione accompagnata da uno sconto sulle liti pendenti e da un condono tombale dai dettagli tutti da definire. E in effetti, secondo il testo uscito dal Consiglio del ministri il 13 ottobre scorso, la pace fiscale risultava a tutti gli effetti un condono in stile Berlusconi-Tremonti del 2002. Con tanto di scudo fiscale, impunibilità agli evasori e tetti sovradimensionati denunciata poi dal Movimento5Stelle.

Nella versione iniziale dell’articolo 9 del decreto, infatti, il condono aveva un tetto di 100mila euro “per anno dichiarato e per imposta” per le dichiarazioni presentate fino al 31 ottobre 2017. Si otteneva presentando una dichiarazione integrativa “speciale” entro il 31 maggio e pagando un’aliquota scontata del 20% del non dichiarato, in 5 anni (dieci rate), senza sanzioni e more. Siccome le imposte erano 5 e erano altrettanti gli anni per cui ci si poteva mettere in regola, il tetto massimo del condono raggiungeva i 2,5 milioni. Non solo: il documento prevedeva una sorta di scudo fiscale per i capitali all’estero e la non punibilità per la dichiarazione infedele, il riciclaggio e l’autoriciclaggio. In compenso venivano inasprite le pene per gli evasori. Il testo non convinceva però il Movimento 5 Stelle che ha denunciato una “manina” nella stesura del documento dando vita ad una nuova trattativa con la Lega sui contenuti del decreto relativamente al condono.

Dopo un lungo braccio di ferro si è arrivati così alla versione definitiva che prevede una dichiarazione integrativa “speciale” per i redditi non dichiarati, con un tetto a 100mila euro per anno d’imposta compreso fra il 2013 e il 2016 e non potrà superare il 30% di quanto già dichiarato. Chi ha presentato una dichiarazione inferiore a 100mila euro potrà comunque integrare fino a un massimo di 30mila euro. La nuova formulazione riduce la portata del provvedimento destinato a sanare il mancato pagamento su “imposte sui redditi e relative addizionali, imposte sostitutive delle imposte sui redditi, delle ritenute e dei contributi previdenziali, delle imposte regionali sulle attività produttive e delle imposte sul valore aggiunto”, come si legge nella versione definitiva del decreto da cui scompare la sanatoria su redditi da immobili e capitali all’estero.

Viene eliminato dal testo anche il carcere per gli evasori che il Movimento 5 Stelle promette di definire con legge in parlamento. Resta la punibilità da un anno e sei mesi a sei anni per “chiunque fraudolentemente si avvale della procedura (…) per far emergere attività finanziarie e patrimoniali (…) provenienti da reati” diversi dalla falsa fatturazione e dalla dichiarazione infedele che restano regolati dalla legge esistente (articoli 2 e 3 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74). Inoltre il documento definitivo conferma che potrà avvalersi del condono solo chi ha già presentato una dichiarazione dei redditi ed esclude chi ha presentato la richiesta dopo l’inizio di un qualsiasi procedimento di accertamento amministrativo. Inoltre, dopo aver inviato la dichiarazione integrativa “speciale” all’Agenzia e ricevuto il via libera, il contribuente potrà effettuare il pagamento in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 o potrà ripartirlo “in dieci rate semestrali di pari importo” versando la prima rata entro il 30 settembre 2019. Nel caso in cui però si acceda alla sanatoria, ma poi non si versi il dovuto, la dichiarazione integrativa, che è irrevocabile, diventerà automaticamente titolo di riscossione per le imposte dovute. A quel punto il fisco richiederà non solo l’intero ammontare evaso, ma anche interessi e sanzioni (il 30% delle somme non versate).

Gli altri provvedimenti della pacificazione fiscale restano invece nella stessa formulazione originaria: la rottamazione ter includerà per la parte residua anche i contribuenti che hanno aderito alle due precedenti versioni della definizione agevolata. Ne allungherà i termini a 5 anni e alleggerirà i tassi d’interesse. A patto che il contribuente abbia versato le precedenti rate entro il 7 dicembre 2018. La definizione sarà aperta inoltre a chi intende definire un processo verbale di constatazione (Pvc), un avviso di accertamento, di rettifica o di liquidazione o un accertamento ricevuto entro l’entrata in vigore del provvedimento. Saranno “stracciate” le cartelle di importo fino a mille euro relative al periodo compreso tra il primo gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010. L’importo stralciato terrà conto del capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, che risultano dai singoli ruoli. Ciò significa che tutte le cartelle sotto i mille euro saranno stralciate anche se la somma delle cartelle che il contribuente deve all’Erario supera la cifra in questione. Nella relazione tecnica si precisa che “l’annullamento di tali debiti può dar luogo a deduzione ad opera del contribuente in occasione del versamento, entro il 7 dicembre 2018, di quanto dal medesimo dovuto per la definizione agevolata”. Quanto alle liti pendenti, resta in decreto lo sconto in funzione del grado di giudizio e del fatto che il contribuente abbia vinto o meno la causa nei confronti dell’Agenzia. Un provvedimento che, secondo la relazione tecnica, porterà ad una “deflazione del contenzioso tributario (…) con effetti di minori spese, allo stato, non quantificabili”.

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