Mentre ancora si discute dei premi ai medici che tagliano le prestazioni, spuntano i precedenti dell’Inps: altri tentativi compiuti negli ultimi anni per legare la produttività del personale medico alla riduzione delle prestazioni (e dei costi) per l’ente stesso, il più delle volte naufragati. A ricordarne uno piuttosto ingombrante è il presidente dell’Ordine dei medici di Milano Roberto Carlo Rossi, tra i primi a salire sulle barricate rigettando pubblicamente l’incentivo proposto per la prima volta nel “piano delle performance” dell’ente. Per sua iniziativa il 9 ottobre scorso il Consiglio direttivo dell’Ordine milanese ha duramente stigmatizzato l’introduzione tra i criteri di valutazione dei medici del numero di periodi di malattia che annullano e delle pensioni di invalidità che revocano, e ha dato mandato allo stesso Rossi di “assumere tutte le iniziative necessarie a impedire che l’incentivo venga confermato”, anticipando di diversi giorni la posizioni dei sindacati di categoria, dichiaratamente contrari a recepire accordi che contengano simili premialità. Per Rossi però è un deja vù. “Cinque anni fa l’Inps tentò di introdurre un premio del 3% sugli importi recuperati per effetto della riduzione delle prognosi”, un po’ come l’agio che certi comuni danno ai vigili per le multe, posto che qui si tratta di salute e di diritti fondamentali e non di parcheggiare l’auto sulle strisce. “Allora facemmo una campagna durissima e riuscimmo a sventare quella proposta aberrante, che fu di fatto disapplicata. Questa però, se possibile, è anche peggiore”.

Ma di sicuro non l’unica, perché basta cercare per trovare un altro frutto amaro di quell’anomalia che rende l’Istituto uno strano ibrido di competenze che unisce l’ambito sanitario e alla cura di rapporti economici. Convivenza che può favorire insidie, scivoloni e misure contrarie alle garanzie costituzionali, come ha ricordato lo stesso Ordine dei Medici sul caso “premi”. Non diversa suona la bocciatura rifilata dal Garante della Privacy a febbraio di quest’anno, di cui si è appreso un mese fa nel corso di un’audizione in Senato del presidente Antonello Soro. Il garante ha spento il software che l’ente ha messo in piedi e utilizzato da cinque anni a questa parte al fine di individuare preventivamente possibili assenze ingiustificate dal lavoro per malattia. Attività che costituisce certamente un “obiettivo di interesse generale”, ha stabilito Soro, ma che nel caso specifico, “veniva condotta con una vera e propria profilazione dei lavoratori a loro insaputa con un sistema di programmazione mirata delle visite fiscali bastato su un trattamento automatizzato di dati personali”. Senza peraltro avvisare il Garante, e contravvenendo alle prescrizioni a tutela dei dati personali.

Anche la motivazione giuridica fornita dal Presidente Boeri per giustificare la sua delibera sui “premi”e sedare le polemiche è finita presto sotto la lente, sciogliendosi così come neve al sole. Boeri sia in atti (una rettifica al nostro giornale) sia di fronte alle telecamere de ilfattoquotidiano.it ha sostenuto che quei premi discendono da una decisione del Consiglio di Stato cui l’ente si è dovuto adeguare.

A richiesta, l’Inps ha poi fornito le sentenze cui faceva riferimento l’economista: la n. 5447 del 23 dicembre 2016, così come la successiva n. 5448 emessa nella stessa data. Ma a detta del giuslavorista Nico Cerana che fra i primi ha sollevato i problemi di natura giuridica e costituzionale sottesi ai “premi” è giunto alla conclusione che “non c’entrano proprio nulla”. Ecco la sua risposta più “tecnica”. “La sensazione – scrive Cerana, 30 anni di lavoro da avvocato specialista di pubblico impiego – è che Boeri, non abbia volutamente colto l’essenza del problema. Le sentenze in questione, infatti, hanno sancito l’illegittimità di una vecchia determina dell’allora commissario dell’Istituto (n. 26 del 2008) lesiva, ed era la prima volta, dell’autonomia tecnica, professionale e organizzativa degli avvocati interni. Quella dei medici non era, né è mai stata, messa in discussione; sicché il riferimento a presunti obblighi in tema di performance per tale categoria di  personale che deriverebbero dalle suddette pronunce è incongruo e fuorviante. Ma vi è di più.

Lo stesso Regolamento di organizzazione dell’istituto, parzialmente modificato nel luglio 2017 proprio in esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, nel confermare (art. 27) l’autonomia tecnico/professionale dei professionisti delle diverse aree (legale, medico/legale, ecc.), ha rimarcato come la loro attività debba svolgersi con il rigoroso rispetto delle norme deontologiche, anche per il conseguimento degli obiettivi di risultato della struttura in cui operano”. E dunque? “Lungi dal garantire e rafforzare l’altissima professionalità e indipendenza di giudizio dei medici”, come ora preteso dal suo promotore,  la previsione del Piano va nella direzione esattamente contraria. L’inequivocabile significato delle parole “annullamento” e “revoca”, collegate a miglioramenti retributivi e usate senza alcun criterio che ne mitigasse la portata, costituisce infatti chiara prova che quella adottata sia un’inaccettabile interferenza nella libertà di coscienza del medico”.

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