È stato partigiano e sabotatore, tra le figure più emblematiche della guerra al nazismo. Riuscì a fermare le ambizioni nucleari di Adolf Hitler, sabotando un impianto idroelettrico nel suo paese, essenziale per la produzione della prima bomba del Reich. E la sua impresa arrivò fino a Hollywood, dove divenne un film, Gli eroi di Telemark, con Kirk Douglas. Il norvegese Joachim Ronneberg, scomparso oggi a 99 anni, aveva rotto il silenzio su quello che aveva fatto soltanto negli anni ’70, grazie anche al suo lavoro di giornalista radiofonico. Pur rendendosi conto della portata della sua impresa dopo le atomiche lanciate dagli Usa su Hiroshima e Nagasaki nel ’45, è stato per molti anni riluttante a parlare della sua esperienza, nonostante la pubblicazione di numerosi libri, documentari e serie tv.

La vita dell’uomo che fermò l’atomica di Hitler ha i contorni di un romanzo fin dalla giovane età. Nel ’40, a 21 anni, scappò dalla Norvegia occupata dai nazisti a bordo di una barca, insieme con otto amici. Ma la sua idea era di ritornare a combattere l’invasore. Nel frattempo la Germania, forte dei suoi successi militari su vari fronti della Seconda Guerra Mondiale, inseguiva gli Alleati nella corsa agli armamenti nucleari. Quindi aveva bisogno della cosiddetta acqua pesante, con particelle atomiche nel suo nucleo di idrogeno. L’unico impianto in grado di produrre grosse quantità di acqua pesante in quel periodo era la centrale idroelettrica di Telemark, nel sud della Norvegia. Abbastanza da diventare un obiettivo della Resistenza.

Nel ’42 ci fu una prima azione di sabotaggio, che tuttavia fallì. L’anno dopo, Ronneberg scelse un ristretto gruppo di compagni, dando il via all’operazione Gunnerside, sotto comando alleato. “Eravamo una gang di amici che volevano fare il lavoro insieme”, ha raccontato Ronneberg alla Bbc nel settantesimo anniversario della missione, nel 2013. Il commando si paracadutò su un altopiano, attraversò il paese sciando, scalò un burrone e attraversò un fiume ghiacciato. Infine, utilizzando la ferrovia, raggiunse l’impianto, riuscendo a piazzare l’esplosivo e a far saltare tutto. “Abbiamo pensato molto spesso che si trattasse di un viaggio di sola andata”, ha ricordato il capo della missione.

Anche la fuga fu altrettanto rocambolesca: oltre 300 chilometri sugli sci fino in Svezia, inseguiti da migliaia di soldati tedeschi. “Il miglior weekend sciistico che abbia mai avuto”, ha commentato a tanti anni di distanza Ronneberg. Concedendosi dell’ironia per spiegare l’azione di sabotaggio più riuscita della guerra. Che abbinata ai raid americani l’anno successivo costrinse i tedeschi ad abbandonare i loro piani nucleari. A vincere la sua riluttanza a rompere il silenzio, il desiderio di raccontare ai giovani i pericoli della guerra. E far capire alle nuove generazioni che “dobbiamo essere sempre pronti a lottare per la pace e la libertà”.

(immagine tratta dal video di Nrk Tv)

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