Spesso non teniamo conto di come il clima – che è influenzato dal nostro stile di vita – possa essere responsabile di trasformazioni dell’ambiente e di comportamenti umani che riguardano il futuro e di come, sottovalutando tale questione, la società perda un’occasione di prevenire solidaristicamente il rischio di perdite irrecuperabili.

Riprendo quanto già esposto in precedenti post dove si espone una correlazione tra crisi ambientale, immigrazione e cura della “casa comune”, che si deve affrontare a partire da una prospettiva di accoglienza e di investimento nel rigenerare la natura, con prospettive di lavoro e di benessere che lo sviluppo attuale non assicura affatto.

Dovremmo quindi prendere in considerazione alcune ipotesi su cui gli scienziati più seri stanno fornendo prove di tendenza da correggere con estrema urgenza. In particolare, nel giro di poche generazioni il Mediterraneo tende a inaridirsi e siti a noi cari potrebbero essere allagati in seguito all’innalzamento delle acque marine.

Il Mediterraneo nei prossimi 100 anni sarà più arido

Uno studio internazionale di Nature Communications, di cui è stata partner l’Università di Pisa e che ha coinvolto 12 istituzioni, prevede per il clima del Mediterraneo nei prossimi cento anni crescente aridità e minori precipitazioni medie, probabilmente concentrate in tempi brevi. Le conclusioni derivano da una ricerca molto complessa e durata anni sulle analogie fra l’ultimo periodo interglaciale e la situazione attuale. Lo studio dell’ultimo periodo interglaciale è particolarmente rilevante perché è stato caratterizzato da un intenso riscaldamento artico, con temperature più alte di alcuni gradi rispetto a quelle attuali e quindi paragonabili agli scenari di riscaldamento previsti per la fine di questo secolo.

Come conseguenza del riscaldamento, la ricerca ha stimato che il livello globale del mare nell’ultima epoca interglaciale sia stato di circa 6-9 metri superiore al livello attuale, un innalzamento in buona parte dovuto alla fusione della calotta glaciale della Groenlandia e che ”un tale scioglimento dei ghiacci potrebbe aver contribuito a un’instabilità, della circolazione oceanica del Nord Atlantico, con momenti di indebolimento corrispondenti a periodi di scarsità di precipitazioni in Europa” come affermato da Giovanni Zanchetta del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.

Per definire in dettaglio i cambiamenti oceanici e atmosferici dell’Atlantico settentrionale e dell’Europa meridionale, i ricercatori hanno prodotto una sorta di “stele di rosetta stratigrafica”, analizzando una carota di sedimento marino proveniente dal margine atlantico della penisola iberica e confrontando i pollini e i cambiamenti della vegetazione registrati con l’andamento delle precipitazioni registrato nelle stalagmiti della grotta ”Antro del Corchia”, nel nord Italia.

Il collegamento tra Corchia e il margine atlantico della penisola iberica documenta come una serie di eventi aridi nell’Europa meridionale siano collegati alle espansioni di acqua fredda nell’Atlantico settentrionale. La datazione dei cambiamenti climatici già registrati in epoche passate è stata “sovrapposta” a quanto sta oggi accadendo a causa dell’attività umana e ne è stato così tratto il profilo climatico nella zona mediterranea nei prossimi cento anni. Se ne conclude che il progressivo riscaldamento che stiamo osservando possa generare in futuro un’instabilità del clima associata a fenomeni significativi di siccità.

Rischio prossimo di inondazioni

Quasi tutti i siti patrimonio dell’umanità che si affacciano sul Mediterraneo sono a rischio inondazione, ma a causa dell’innalzamento del mare questo rischio aumenterà del 50% entro la fine del secolo. In Italia sono ben 13 i siti ad alto rischio, a cominciare da Venezia e l’area archeologica di Aquileia.

A livello globale, il livello medio del mare aumenta di poco più di tre millimetri all’anno, mentre i ghiacciai e le calotte di ghiaccio si sciolgono e l’acqua degli oceani si riscalda. Con il progressivo aumento del livello del mare, le inondazioni costiere rischiano di diventare sempre più frequenti e intense. Capire quali saranno le altezze massime che si raggiungeranno durante eventi estremi dovuti al concorso anche di maree e uragani è essenziale per decidere per tempo le misure di difesa necessarie.

Eventi marini estremi possono spingere l’acqua al di là delle barriere costiere, inghiottire le case e inondare infrastrutture cruciali. È già successo e l’elenco riguarda i Paesi costieri, ricchi o poveri che siano. Le previsioni di inondazioni estreme sono rese confuse dall’incertezza sulla velocità con cui aumenteranno le emissioni di gas serra.

Per quanto ci riguarda, sempre Nature Communications segnala che, purtroppo, in cima alla lista delle località a più elevato rischio nel Mediterraneo vi sono gioielli italiani dell’alto Adriatico come Venezia e la sua laguna, l’area archeologica di Aquileia e anche Ferrara e in parte Ravenna. Se i pericoli sono reali – e vanno ben oltre il Mose – nasce l’opportunità, dato il loro valore simbolico, di promuovere campagne che sensibilizzino la popolazione sull’importanza primaria di mitigare i cambiamenti climatici.

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