La notizia vera è che gli ultimi dati completi e affidabili risalgono al 2012. Già questo basta a capire quanto la disabilità sia a dir poco marginale negli interessi dei nostri governi.

Eppure tra diretti interessati e famigliari, si dovrebbe trattare di un buon bacino elettorale, ma forse troppo impegnativo da coltivare per una politica generosa nel promettere , ma poco propensa a mantenere.

O magari il problema è che neppure il numero dei disabili nel nostro paese è un dato sicuro. L’ultima stima ufficiale pare essere quella fornita dall’Istat addirittura nel 2005: un po’ più di tre milioni, ma il numero pare oscillare fino a 4 milioni e mezzo, secondo che si considerino anche gli invalidi civili e sul lavoro.

Rimanendo al dato del 2012 – frutto di una collaborazione tra la Fondazione Serono e il Censis – sul fronte dell’impegno a favore dei disabili l’Italia esce malissimo da un confronto europeo. Dal totale delle tasse pagate in un anno da ciascuno di noi, solo poco più di 400 euro vanno al servizi sociali destinati alle persone disabili, contro una media Ue di 531. Risultiamo penultimi, con dopo di noi solo la Spagna che però gode della doppia amministrazione, da parte dello Stato centrale e delle regioni autonome: dove non arriva il primo ci pensano le seconde.

Fin qui si parla di erogazione di denaro, sotto forma di pensioni, sussidi, aiuti. Forse – si potrebbe pensare – il nostro Stato spende poco per i disabili perché fa molto di suo, insomma preferisce costruire servizi che erogare denaro…

Purtroppo non è così, anzi: sul fronte delle strutture e degli investimenti in generale, siamo a livelli vergognosi, con una spesa pro capite di 23 euro, contro i 125 della media europea. In questo caso anche la Spagna ci supera di gran lunga, con 55 euro pro capite.

Difficile pensare che le cose siano cambiate dal 2012 ad oggi. Anzi sono tragicamente peggiorate, come dimostra il taglio di 10 milioni la cui responsabilità è stata rimpallata qualche settimana fa tra l’ex ministro pd Maurizio Martina e il nuovo ministro per la Famiglia (e la disabilità) Fontana. A tagliare quello stanziamento già piuttosto esiguo fu in effetti il governo Gentiloni, anche se per ora l’impegno a ripristinarlo da parte dell’esecutivo attuale pare essere solo affidato ai proclami su Twitter.

I ben informati dicono che Fontana consideri quello della disabilità un tema importante e politicamente forte. Pare abbia intenzione di avvalersi di consiglieri in grado perlomeno di dare dimensioni credibili al fenomeno. Per il momento è sembrato – però – più preoccupato di rendere pubbliche le sue convinzioni su altre materie forse più utili per la propaganda.

Senza voler fare alcun processo alle intenzioni, il problema è l’assenza di azioni. Eppure investire negli aiuti alla disabilità significa in realtà risparmiare: quel che rende la vita più accettabile ad un disabile, la rende più semplice anche ad una donna in gravidanza, a una madre con un bambino piccolo, ad un malato, un anziano. Un investimento solo per tutti.

E a proposito di anziani, una politica che sapesse guardare appena più in là del suo naso capirebbe che disabilità e innalzamento dell’età media sono due fattori che si sovrappongono e moltiplicano i bisogni. Anche i disabili vivono più a lungo e l’età avanzata comporta a sua volta disabilità ulteriore.

Qualcuno – però – deve finalmente essersi accorto che così non si va tanto avanti o – perlomeno – che anche disabili e loro famigliari votano.

Nella nota a quel Def che sta facendo tanto clamore si è fatto riferimento a un’idea di “… pensione di cittadinanza per le persone che vivono al di sotto della soglia minima di povertà… anche con riferimento alla presenza al loro interno di persone con disabilità o non autosufficienti” e all’ormai mitico reddito di cittadinanza che “… giocherà un ruolo chiave nel sostegno alle famiglie disagiate e con disabili…”.

Siamo sempre nel fluido mondo delle intenzioni e probabilmente era stato concepito tutto con altri fini, ma – anche se incidentalmente – per una volta qualcosa potrebbe cambiare.
Se poi un giorno lo Stato si decidesse a fare quel che gli compete, invece che dare la paghetta e demandare tutto a chi di responsabilità ne ha fin troppe, sarebbe una bella cosa. Ma questa è un’altra storia.

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