Devo ammettere che io ero uno di quelli che credevano che, da un punto di vista ambientale e territoriale, con questo governo le cose sarebbero migliorate. Mi rendevo conto che partner del M5s era quella Lega che governa nelle due regioni con maggior consumo di suolo in Italia, che tutela i cacciatori e quant’altro, ma auspicavo una sorta di folgorazione sulla via di Damasco o, molto più prosaicamente, un accordo di governo sul tema. Dai segnali che vengono lanciati da Montecitorio, devo dedurre che forse mi sono sbagliato. Due in particolare i messaggi preoccupanti.

1. Nel cosiddetto decreto Genova (D.L. 28 settembre 2018 n. 226), un tot di articoli (più di quelli sul ponte Morandi) riguardano la ricostruzione post terremoto, in particolare l’isola di Ischia, dove sono più le case abusive che quelle in regola. Bene, sarà una svista, non lo sarà, l’articolo 25 del provvedimento prevede che per gli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 2017, vengano conclusi i procedimenti di condono ancora pendenti facendo riferimento alle sole disposizioni del primo condono, ossia la legge 47/1985.

Ciò significa che non varrebbero le norme in materia di tutela paesaggistica e idrogeologica introdotte successivamente. Risultato: si condonano anche edifici realizzati in aree a rischio e in zone protette. In più (il danno oltre la beffa per noi onesti), tutti gli abusivi godranno del contributo pari al 100% della ricostruzione post sisma.

Ancora una volta, si crea di fatto un incentivo a edificare senza permesso, dovunque e comunque, quasi che ce ne fosse bisogno: in Campania, su cento alloggi realizzati oggi, ben 64 sono abusivi. Con un tasso di delinquenza nell’edilizia ben più alto di quello della camorra, un danno più grave arrecato alla comunità nazionale con la costruzione di case abusive e relativo consumo di suolo, che non quello arrecato dalla camorra. Triste a dirsi, ma siamo un Paese che vive nell’illegalità e che ha governi che la fiancheggiano.

2. Sempre lo stesso decreto prevede, all’articolo 41, la possibilità di spargere reflui di depurazione delle acque contenenti residui di idrocarburi, a patto che tali idrocarburi non superino i mille milligrammi per chilo. Diciamo pure che la prassi legalizzata di spargere reflui di depurazione nei campi (reflui che poi finiscono nelle acque sotterranee e nel nostro sistema digerente, della serie che mangiamo i nostri escrementi) già lascia perplessi.

In qualche modo è l’Europa che ce lo chiede (Direttiva 86/278/Cee). Peccato che tale direttiva nulla dica circa la presenza di idrocarburi, ma si limiti a fissare valori limite per i metalli pesanti. Così neppure la normativa italiana di recepimento, con il D.Lgs. 99/1992, dice alcunché al riguardo. La situazione è talmente lacunosa che la Corte di Cassazione, dovendo dirimere un contenzioso riguardante la Regione Toscana, in assenza di una norma ha individuato il limite di 50 milligrammi per chilo, ma solo perché esso vale per le bonifiche.

Su parere dell’Ispra, il ministro dell’Ambiente ha affermato che tale limite non è compatibile con i reflui. E allora, che fare? Vietare lo spargimento di idrocarburi (mettendo in crisi l’industria della depurazione? non sia mai) oppure fissare un valore limite? Ecco che il Governo opta ovviamente per questa seconda soluzione e col predetto articolo 41 (inserito tra l’altro in un decreto che parla di tutt’altro, un vezzo questo classico dei nostri governi di qualsiasi bandiera) il limite viene portato a quei  mille milligrammi per chilo già individuati precedentemente (guarda caso) dalla Regione Lombardia, guidata da quella stessa Lega che è al governo.

Peccato che la norma della regione Lombardia sia stata impugnata da una cinquantina di comuni del pavese e del lodigiano, preoccupati per gli effetti sulla salute pubblica. E peccato che lo scorso 20 luglio la terza sezione del Tar della Lombardia con la sentenza n. 1782 abbia accolto il ricorso dichiarando illegittima la norma, in quanto confliggente con il D.Lgs. 152 del 2006 che conteneva limiti molto più stringenti di quelli dettati dalla regione lombarda (50 milligrammi per chilo, la sentenza non lo dice, ma è lecito desumerli) e, se è vero che le regioni possono legiferare in campo ambientale, è altresì indubitabile che esse non possono porre limiti più lassisti di quelli stabiliti dalla legislazione nazionale. Con questa pronuncia, i mille milligrammi quindi a luglio erano diventati illegittimi.

Ma, due mesi dopo, grazie all’intervento salvifico del governo (coerente peraltro con la Conferenza Stato–Regioni tenutasi su questo tema lo stesso mese), non solo divengono legittimi, ma valgono per tutto il territorio nazionale: libertà di inquinare. Più di prima e dappertutto. Il risultato dunque è che si continueranno a utilizzare fanghi reflui di depurazione contenenti idrocarburi per arricchire campi impoveriti dall’uso di sostanze derivanti da idrocarburi. Con buona pace della nostra salute.

Ps
Mi scuso per il refuso. La Regione Lombardia aveva fissato un limite di 10mila per chilogrammo, il governo di mille. Resta il fatto che mille è 20 volte quando individuato dalla Corte di Cassazione. La giustificazione fornita dal ministro Costa che non c’era un limite per gli idrocarburi valido su tutto il territorio nazionale è veritiera.

Ma viene anche da chiedersi: se non c’era un limite, neppure a livello europeo, non era che se ne doveva evincere che gli idrocarburi non devono essere presenti? È logico consentirne lo sversamento in questa quantità nei terreni e consentire che entrino nella catena alimentare? Se il ministro vuole rispondere…

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