Non ci possono essere dubbi sul fatto che il tasso di disoccupazione, soprattutto nelle regioni del meridione, costituisca un’emergenza sociale alla quale la politica deve rispondere: non è ammissibile che generazioni intere di cittadini siano marginalizzate economicamente e socialmente. Il reddito di cittadinanza (RdC) è però soltanto una tra le possibili risposte a questo problema e probabilmente la peggiore possibile.

Prima di analizzare i limiti del RdC, a puro titolo di esempio, voglio immaginare un intervento alternativo. Alle stesse persone che rientrano nei criteri di ammissibilità per il RdC potrebbe essere erogata la stessa somma prevista per il RdC sotto forma di borsa di studio e con l’ulteriore obbligo di iscriversi e frequentare un corso di formazione professionale, scelto tra quelli che il governo dovrebbe selezionare come necessari al Paese. Alcuni di questi corsi, che possono essere di livello universitario o di scuola superiore, richiederebbero ampliamenti e adattamenti per accogliere studenti anche di età relativamente avanzata e alcune strutture dovrebbero essere create.

La borsa sarebbe erogata per la durata nominale del corso e potrebbe essere prevista anche per corsi di apprendistato, per quei mestieri che tradizionalmente si imparano seguendo l’artigiano che li esercita piuttosto che attraverso uno studio formale. Una misura come questa produrrebbe lavoratori anziché assistiti, sarebbe limitata nel tempo alla durata del corso scelto e per i corsi di livello universitario avvicinerebbe il Paese agli obiettivi ai quali ha aderito attraverso il programma Europa 2020.

Il RdC come tale non produce formazione e pertanto non aumenta le possibilità di inserimento lavorativo del suo percettore: se la persona non ha trovato lavoro prima, non ci sono ovvie ragioni per le quali dovrebbe trovarlo grazie al RdC. Anche i criteri finora suggeriti in base ai quali cessa l’erogazione del RdC sono ingenui: l’inserimento lavorativo o il rifiuto di tre offerte di lavoro.

Stante che l’inserimento lavorativo di personale non formato è difficile, il concetto di offerta di lavoro è riduttivo, in quanto implica la sola idea di un lavoro dipendente ed esclude qualsiasi iniziativa autonoma della persona. Per molti lavori di tipo artigianale non ci sono vere e proprie offerte di lavoro: si entra a bottega come apprendisti e poi ci si mette in proprio. In breve, il RdC rende passivo il suo percettore perché non ne promuove né la crescita professionale né l’iniziativa.

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Il RdC è una misura assistenziale finanziata col debito pubblico: crea nel domani problemi più gravi di quelli dell’oggi e scarica sulle generazioni future il peso delle nostre incapacità attuali. Aumentare il debito pubblico significa aumentare il peso degli interessi, che già oggi costa ogni anno l’equivalente di tutta l’istruzione pubblica o i 2/3 della sanità. Questa condizione, oltre ad essere grave di per sé richiede un livello di tassazione estremamente elevato, ulteriormente aggravato dalla diffusa evasione fiscale.

Vanno infine messi in conto i prevedibili contrasti sociali che il RdC genererà. Finché il RdC è una proposta di legge, e non viene ancora erogato, il pubblico plaude a una misura sociale di civiltà, che aiuta persone in difficoltà. Quando il RdC sarà erogato e diventerà una voce nel bilancio dello Stato, molti cominceranno a mettere in discussione l’opportunità di erogare assistenza a persone che non lavorano. La gente si accorgerà che un pensionato baby -categoria oggi vituperata dagli stessi politici che propongono il RdC – è una persona che riceve un reddito pensionistico superiore ai contributi versati, mentre un percettore di RdC è una persona che riceve un reddito a fronte di nessun contributo versato.

Inoltre, a causa della diversa distribuzione del tasso di disoccupazione sul territorio nazionale, diventerà evidente che il RdC genera un flusso di denaro pubblico diretto dal Nord verso il Sud, la condizione che in passato ha fatto nascere e prosperare la Lega e incoraggiato il nostro piccolo razzismo paesano contro i “terroni”. Quando una azione politica comporta tante incognite, l’idea di “provarla per vedere come funziona” è avventata: certi problemi bisogna prevenirli piuttosto che crearli e poi cercare di risolverli.

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