Era il quarto anniversario dallo sgombero del campeggio No Tav, quello avvenuto nel 2011 con violenti scontri tra militanti e forze dell’ordine. Ed altri scontri avvennero quella domenica 28 giugno 2015, fatti condannati oggi dal Tribunale di Torino. Gli oppositori della Torino-Lione, abitanti della Val di Susa e appartenenti ai centri sociali, tornavano a manifestare in massa: appuntamento alle 10 di domenica, partenza dal forte di Exilles con meta Chiomonte, dove c’era il cantiere dello scavo geognostico, un tunnel fatto per studiare la conformazione del terreno in vista dello scavo del tunnel principale.

Un’ordinanza della prefettura di Torino aveva stabilito una “zona rossa” e imposto alcune limitazioni ai percorsi, ma i manifestanti volevano violarla per passare i blocchi delle forze dell’ordine e avvicinarsi all’area dei lavori. Ne nacque uno scontro: da una parte i No Tav lanciavano pietre e tentavano di tirare giù la recinzione con delle corde, dall’altra la polizia rispondeva con lacrimogeni e getti d’acqua per respingere i manifestanti. Circa un anno dopo, all’indomani dell’elezione di Chiara Appendino a sindaca di Torino e a pochi giorni dal sesto anniversario, la polizia notificò venti misure cautelari: due in carcere, nove ai domiciliari e nove obblighi di firma per reati vari tra cui resistenza aggravata a pubblico ufficiale, lesioni personali, esplosioni di ordigni con la finalità di turbare l’ordine pubblico. “Un tempismo quantomai sospetto”, sostenevano gli oppositori della Torino-Lione sul loro sito notav.info.

video di Simone Bauducco

Tra i provvedimenti cautelari ce n’era uno che innescò un cortocircuito giudiziario. Era l’obbligo di firma disposto contro Nicoletta Dosio, la pasionaria del movimento No Tav, professoressa in pensione, candidata più volte dai partiti di sinistra e condannata oggi a venti mesi di reclusione. La 73enne aveva passato ai manifestanti una corda da legare alle recinzioni del cantiere, così da tirarla giù. L’ex professoressa decise di non rispettare quell’obbligo imposto dal tribunale a giugno con un atto di disobbedienza civile: “Rifiuto le misure restrittive che mi sono state o mi saranno comminate – aveva fatto sapere lei – non accetto di far atto di sudditanza con la firma quotidiana, non accetterò di trasformare i luoghi della mia vita in obbligo di residenza né la mia casa in prigione; non sarò la carceriera di me stessa”.

Per questa ragione ad agosto Nicoletta Dosio aveva ricevuto una misura leggermente più pesante, l’obbligo di dimora a Bussoleno, mai osservato. E a settembre infine gli arresti domiciliari, non rispettati, come quando il 3 novembre si presentò a un presidio No Tav davanti al Palazzo di giustizia: fu arrestata in flagranza e poi, il 14 dicembre, condannata a otto mesi per evasione. Nel frattempo la procura, su impulso del procuratore capo Armando Spataro, aveva però chiesto la revoca delle misure cautelari per evitare che la donna sfruttasse “la situazione in cui si trova per suscitare clamore mediatico attorno al movimento No Tav”. Tuttavia il gip rigettò la richiesta. A quel punto Spataro ricorse al Tribunale del riesame e anche quest’ultimo bocciò l’annullamento della misura cautelare. Ci pensò la Cassazione, su ricorso della difesa di Dosio, a revocare quelle misure cautelari per un vizio formale. Tuttavia sull’anziana pasionaria del movimento No Tav pendeva un divieto di dimora a Susa per un’altra indagine sulle proteste fatte tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016.

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