In 45 Paesi del mondo la fame è ancora un problema grave e in sei (Ciad, Haiti, Madagascar, Sierra Leone, Yemen e Zambia) la situazione è ancora peggiore, tanto da essere considerata ‘allarmante’. È però la Repubblica Centrafricana, in assoluto, il Paese che soffre maggiormente la mancanza di cibo. È quanto emerge dalla mappa disegnata dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index) 2018 presentato dal Cesvi, una misurazione multidimensionale della fame a livello globale, regionale e nazionale, che si basa su quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Secondo il GHI 2018, dei 79 Paesi che al momento presentano un livello di fame moderato (27), grave (45), allarmante (6) ed estremamente allarmante (1), solo 29 raggiungeranno l’Obiettivo Fame Zero entro il 2030. Eppure i fatti dimostrano che sono possibili progressi significativi. Ci sono Paesi che nel 2000 avevano fatto registrare livelli di fame estremamente allarmanti e che oggi vedono una riduzione del loro punteggio di più del 50 per cento.

LA MAPPA DELLA FAME NEL MONDO
Globalmente circa 124 milioni di persone soffrono di fame acuta, mentre 151 milioni di bambini sono affetti da arresto della crescita e 51 milioni da deperimento. Le regioni del mondo più colpite sono l’Asia meridionale e l’Africa a Sud del Sahara. In queste due aree si registrano i più alti tassi di denutrizione della popolazione, arresto di crescita, deperimento e mortalità infantile. In Africa a Sud del Sahara, si registra un tasso di denutrizione del 22% sul quale incidono condizioni climatiche avverse, instabilità politica e conflitti prolungati. Tra i Paesi dove la denutrizione è più presente ci sono Zimbabwe (46,6%) e Somalia (50,6%).

Il tasso di deperimento infantile dell’Asia meridionale costituisce una grave emergenza di sanità pubblica ed è superiore a quello delle altre regioni del mondo. In questa misurazione va ricordata l’incidenza dell’India, lo stato con più alta percentuale di deperimento infantile della regione (21%). Ancora nell’Africa subsahariana si trovano i Paesi con il più alto tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni, a cominciare da Somalia (13,3%), Ciad (12,7%) e Repubblica Centrafricana (12,4%), unico Paese con livello di fame estremamente allarmante a causa di instabilità, violenza settaria e una guerra civile che attanaglia il Paese dal 2012.

I PAESI DOVE FAME E MALNUTRIZIONE DIMINUISCONO
All’interno di un quadro complessivamente preoccupante, il GHI 2018 evidenzia comunque che la fame e la malnutrizione sono diminuite dal 2000 (il livello grave è passato da un valore di 29,2 a 20,9) e questo significa un miglioramento concreto nella vita di milioni di donne, uomini e bambini. Diversi Paesi che 18 anni fa avevano un livello di fame estremamente allarmante registrano oggi una riduzione dei loro punteggi del 50% o più, rientrando così nella categoria grave. Sono Etiopia, Angola, Ruanda, Niger e Afghanistan. Nel GHI 2018, sono 27 i Paesi in Asia meridionale e Africa a sud del Sahara che sono riusciti a raggiungere un livello moderato. Tra questi Gabon, Ghana, Mauritius, Senegal, Sudafrica e Sri Lanka.

Restano gravi i livelli di Bangladesh ed Etiopia, anche se c’è stato un miglioramento nella lotta alla fame e alla malnutrizione. In Bangladesh negli ultimi decenni si è registrato un declino dell’arresto della crescita infantile, probabilmente dovuto a crescita economica, miglioramenti dell’istruzione dei genitori e programmi nutrizionali. L’Etiopia, in generale, è stata una delle economie a più rapida crescita al mondo degli ultimi anni. “Questo ha permesso al governo – si spiega nel rapporto – di attuare una serie di politiche e programmi che dimostrano un forte impegno contro l’insicurezza alimentare e la malnutrizione, alcuni delle quali volte alla promozione della produttività agricola, all’arricchimento della dieta alimentare, al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie per tutti”.

QUEI PAESI SU CUI SI SA TROPPO POCO
Nel 2018 non è stato possibile calcolare i punteggi GHI di 13 Paesi perché non erano disponibili i dati su uno o più degli indicatori, spesso a causa di conflitti violenti o disordini politici. Sette di questi Paesi con dati insufficienti, però, sono fonte di notevole preoccupazione per la loro situazione di fame e malnutrizione. In Burundi si stima che circa 1,67 milioni di persone siano vittime di insicurezza alimentare e la malnutrizione infantile sia dilagante. In Repubblica Democratica del Congo 7,7 milioni di congolesi delle zone rurali si sono trovati di fronte a una grave insicurezza alimentare nel 2017. Alla fine dello stesso anno si contavano circa 4,5 milioni di sfollati interni, oltre 700mila rifugiati nei paesi vicini. L’Eritrea, dove il tasso di arresto della crescita infantile stimato è del 52,8% e quello di deperimento infantile del 14,5%, è uno dei Paesi da cui arrivano più rifugiati.

La Libia vede un conflitto interno ancora in corso che ha danneggiato la produzione agricola e ridotto l’offerta di prodotti alimentari sui mercati. In Somalia, dove sono evidenti le conseguenze della carestia del 2011 e della siccità del 2017, la denutrizione colpisce oltre il 50% della popolazione e la mortalità infantile è il 13,3%: i due tassi più alti tra tutti i paesi inclusi nel rapporto. A febbraio 2018 in Sud Sudan quasi metà della popolazione del paese ha affrontato una situazione critica di insicurezza alimentare. Quasi un bambino su dieci non sopravvive al compimento del quinto anno di età. Infine in Siria, dove l’insicurezza alimentare è un grave problema sin dall’inizio del conflitto nel 2011, a giugno 2018 10,5 milioni di persone soffrivano la fame a causa dell’impennata dei prezzi alimentari, del massiccio sfollamento, della perturbazione dei mercati e dei sistemi di trasporto, del deterioramento dei sistemi agricoli e della perdita di posti di lavoro e di mezzi di sussistenza.

IL LEGAME TRA MIGRAZIONE FORZATA E FAME
L’Indice 2018 analizza anche il legame tra migrazione forzata e fame. “Rispondere all’emergenza delle crisi alimentari non basta – spiega Daniela Bernacchi, amministratore delegato e direttore denerale Cesvi – occorre aumentare gli investimenti e promuovere programmi di sviluppo a lungo termine nelle regioni più critiche. La fame è un pericolo persistente che minaccia la vita di milioni di persone, molte delle quali vivono il dramma degli sfollamenti forzati”. A livello mondiale il fenomeno delle persone costrette ad abbandonare la propria casa ha raggiunto proporzioni enormi. Le stime UNHCR parlano di 68,5 milioni di individui in tutto il mondo, tra cui 40 milioni di sfollati interni, 25,4 milioni di rifugiati e 3,1 milioni di richiedenti asilo.

Il numero degli sfollati forzati è in aumento e la fame è spesso sia causa che conseguenza dello sfollamento: migrazione forzata e fame sono due problemi strettamente correlati che colpiscono le regioni più povere del mondo e segnate da conflitti. I più importanti campi profughi al mondo, quelli che raccolgono persone provenienti da Afghanistan, Myanmar, Somalia, Sud Sudan e Siria, ospitano molti più sfollati forzati di quanti non ne arrivino in Europa. Secondo il Cesvi la risposta ai bisogni degli sfollati in situazioni di insicurezza alimentare deve essere rafforzata lavorando su quattro settori chiave: “Affrontare la fame e lo sfollamento come problemi politici, adottare un approccio di lungo periodo alle situazioni di sfollamento prolungato che preveda un sostegno allo sviluppo delle comunità che ospitano gli sfollati, fornire a questi ultimi sostegno nelle loro regioni d’origine e riconoscere che la capacità di agire e di resistere degli sfollati non è mai del tutto assente e deve costituire la base per fornire sostegno nel medio e lungo termine”.

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