In principio fu The Family. La cartella in cui l’ex tesoriere della Lega. Francesco Belsito, custodiva le spese della famiglia Bossi, dall’ex leader Umberto in giù: dalle multe alle mutande. Ebbene la condanna incassata in primo grado per appropriazione indebita, con ogni probabilità, non potrà trasformarsi in una assoluzione e neanche la procura di Milano potrebbe avere la soddisfazione di vedere confermata l’accusa. Questo perché il processo d’appello si estinguerà se il Carroccio non presenterà querela come ha fatto a Genova nel processo sulla truffa allo Stato che ha portato alla decisione della confisca degli ormai famosi 49 milioni di euro.

Il termineè  il 30 novembre, prima si procedeva d’ufficio
Il termine, dopo la notifica avvenuta il 31 agosto, per la presentazione della denuncia che spetta al danneggiato scadrà dopo il 30 novembre. Al palazzo di Giustizia di Milano sembrano scettici che questo possa accadere visto che se anche la Lega volesse presentare la denuncia contro il solo Belsito, lasciando fuori il fondatore e attuale senatore della Repubblica, essendo concorrenti nello stesso reato il giudizio andrebbe avanti per tutti quanti gli imputati. Un caos che si è creato all’indomani della riforma del codice penale da parte del governo di Matteo Renzi. Prima per il reato contestato si procedeva d’ufficio. L’udienza fissata per domani, 10 ottobre, dovrebbe slittare anche perché è stato presentato un legittimo impedimento da uno dei difensori. L’impedimento è stato presentato dall’avvocato Rinaldo Romanelli, nuovo legale, in quanto impegnato nel processo genovese, sempre di secondo grado e il cui decreto di fissazione è stato notificato prima rispetto a quello milanese.

Una decisione, quella della presentazione della quelera, che è in capo all’attuale segretario Matteo Salvini, che però a Bossi ha concesso ampia fiducia visto che lo ha candidato e poi pubblicamente ringraziato all’ultima Pontida. Una volta scaduti i termini il sostituto procuratore generale Vincenzo Calia sarà costretto a chiedere l’estinzione del reato e verrebbero cancellate le condanne inflitte ai tre dal Tribunale il 27 luglio dell’anno scorso a 2 anni e 3 mesi (Bossi), 1 anno e 6 mesi (Renzo Bozzi) e 2 anni e 6 mesi (Belsito) così come chiesto dal pm Paolo Filippini.

Le motivazioni della condanna: “Bossi consapevole”
Nelle motivazioni i giudici avevano sottolineato la contraddizione del partito che chiamava Roma ladrona e i reati contestati. Bossi è stato “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” della Lega Nord, ma proveniente “dalle casse dello Stato”, “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”. Condotte portate avanti “nell’ambito di un movimento” cresciuto scrivevano i giudici nelle motivazioni – “raccogliendo consensi” come opposizione “al malcostume dei partiti tradizionali“. Secondo l’accusa tra il 2009 e il 2011, l’ex tesoriere si sarebbe appropriato di circa mezzo milione di euro, mentre l’ex leader del Carroccio avrebbe speso con i fondi del partito oltre 208mila euro.

A Renzo “Trota” Bossi erano stati addebitati, invece, più di 145mila euro: migliaia di euro in multe, i cui “verbali originali” sono stati trovati a Belsito “in una logica di pagamento da parte della Lega”, tremila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprare una macchina, (un’Audi A6) e 77mila euro per la “laurea albanese”. Nelle motivazioni il giudice spiegava che “non si può ignorare il disvalore delle condotte” contestate ai tre imputati “poste in essere con riferimento alle elargizioni provenienti dalle casse dello Stato”. Condotte portate avanti “nell’ambito di un movimento nato, ormai decenni orsono, e successivamente cresciuto raccogliendo consensi da chi vedeva in esso un soggetto politico in forte opposizione al malcostume dei partiti tradizionali”. Nelle motivazioni, tra l’altro, il Tribunale aveva ricordato anche che la Lega non si è costituita parte civile nel processo per chiedere i danni, facendo presente, tuttavia, che “la decisione di non innestare nel presente processo l’azione civile ben può essere dipesa da valutazioni di ordine diverso, che nulla hanno a che vedere con la fondatezza dell’azione penale” e, dunque, “in questa sede non interessano”.

Regali, gioielli, vestititi e anche cure mediche
Per il giudice, inoltre, “ha ragione” il pm che nel processo ha evidenziato come nel formulare le imputazioni sia stato “utilizzato un criterio, per così dire, prudenziale, non essendo state contestate spese” come “i finanziamenti alla Scuola Bosina“, fondata dalla moglie di Bossi, o per il “Sindacato Padano”, ma anche “il pagamento effettuato ad una clinica svizzera” o “lo stipendio versato alla badante infermiera” che “assisteva Umberto Bossi fin dai tempi della malattia”. Tutti “capitoli di spesa”, si legge nelle motivazioni, tenuti fuori dal processo ma che “consentono di tratteggiare, in modo ancora più chiaro, il contesto generale” e che “difficilmente paiono compatibili con le disposizioni statutarie in ordine alla destinazione delle risorse del partito politico”. E non si può pensare, scrive il giudice, “che ad Umberto Bossi facessero difetto risorse alle quali attingere per potersene far carico personalmente”. Tra le spese contestate al fondatore della Lega, invece, ci sono l’acquisto di “regali“, “gioielli” e “capi di abbigliamento“, oltre a quelle per le “cure mediche prestate in favore di Sirio Bossi”, altro figlio. Del resto, chiarisce il giudice, “che l’accesso ai conti del cosiddetto ‘federale’ è fosse ritenuto dall’entourage di Umberto Bossi un affare, per cosi dire, riservato e di spettanza del Segretario Federale, è dato che emerge con chiarezza dalle conversazioni telefoniche” agli atti. E Belsito agiva “su incarico generale, o in casi determinati, previa specifica autorizzazione, del Segretario federale” Bossi. Ed è stato dimostrato che Renzo “godeva di benefits di rilievo (acquisto ed utilizzo di un’auto del partito per l’intero arco della giornata, con accompagnamento di autisti pagati dalla Lega, oltre ad un complessivo rimborso spese), dai quali erano esclusi non solo i consiglieri regionali, bensì anche gli stessi eletti in Parlamento”. Ma tutto questo a partire dal prossimo 30 novembre potrebbe risolversi in un nulla di fatto.

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