“Che turismo! Che pomodori!”. Mancava qualche minuto alle sei del mattino e al sorgere del sole, eravamo seduti sull’erba, con una decina di persone, sotto degli ulivi, vicino al cimitero di Aliano, ad aspettare l’alba e sono arrivati altri due ragazzi, con un forte accento campano e uno dei due ha ripetuto “Che turismo! Che pomodori!”, l’altro ha riso e si capiva che la battuta faceva riferimento a un contesto estraneo a quello in cui ci trovavamo in quel momento.

Poi il ragazzo del turismo e dei pomodori ha risposto a una chiamata sul cellulare e ha detto una cosa tipo “Sì, sì, venite pure, stiamo dietro al cimitero, però non fatte ammuina, che qui stiamo tutti in silenzio”. “Che turismo! Che pomodori!” ha fatto ridere anche noi, io e mia moglie, che eravamo lì e per il resto della vacanza ogni tanto lo ripetevamo, in modo estemporaneo, tendenzialmente a sproposito, anche perché non sapevamo bene in che situazione dire “Che turismo! Che pomodori!” potesse risultare a proposito.

Poi però sulla via del ritorno, risalendo in autostrada da Sud a Nord, a un certo punto Ada lo ha detto, “Che turismo! Che pomodori!”, mentre sorpassavamo un tir carico di pomodori, ammassati nel rimorchio tutti insieme, come fossero terra, sabbia, macerie, non divisi in cassette come mi sarei aspettato. E poi ne abbiamo sorpassato un altro e un altro ancora e più avanti di nuovo, durante il viaggio molti altri camion carichi di pomodori italici, almeno fino a Roma, che risalivano la penisola. Pomodori in viaggio, pomodori che vengono su, pomodori & turismo: un bel brand del made in Italy.

Che fine fanno questi pomodori che prendono aria, smog e sole per chilometri e chilometri sulla A1, tra l’asfalto che bolle e i gas di scarico delle macchine incolonnate? Probabilmente cotti a altissime temperature, conditi, passati, aromatizzati, trattati, inscatolati, imballati, esposti, comprati, consumati, digeriti e no. Quei pomodori in viaggio in qualche modo, in minima parte, diventiamo noi, la materia di cui siamo fatti, se è vero che siamo (anche) quello che mangiamo. Al netto di ciò che non assimiliamo e del reflusso gastrico.

E soprattutto: che inizio hanno questi pomodori? Raccolti a quintali da mani tendenzialmente molto abbronzate, tendenzialmente poco, poco pagate, vessate, maltrattate, sporche, misconosciute, sfruttate; e i corpi attaccati a quelle mani, che inizio hanno, da dove arrivano, che strada hanno fatto, che deserti che mari hanno attraversato, per arrivare a questo cortocircuito.

“Che turismo! Che pomodori!”. Raccolta, trasporto, trasformazione. Consumo, reflusso, assimilazione. Espulsione. Come le fasi dei motori in convoglio sull’Autosole: aspirazione, compressione, scoppio, scarico. Prima accoglienza, identificazione, respingimento. Respingimento. Reflusso.

Democrazia diretta

Convogli di TIR d’estate
risalgono la penisola
carichi di pomodori
raccolti da schiavi negri.

Poi li rigettiamo
con larghezza di voti:
l’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul reflusso gastrico.

Articolo Precedente

Sesso e disabilità, vi racconto la mia prima volta. Con una prostituta

next
Articolo Successivo

“Via dal posto fisso con l’arrivo della mia prima figlia. Meglio un papà felice che frustrato”

next