Il mio precedente articolo, Coding o informatica, questo è il problema, ha suscitato un certo dibattito sui social. Sono stato infatti “rimproverato” di voler mettere il coding contro l’informatica. In realtà non solo non è quanto ho scritto, ma non è neanche la mia intenzione. Ho voluto solo chiarire il rapporto tra coding e informatica. Il coding è certamente parte dell’informatica, ma parlare di insegnamento del coding come la soluzione da intraprendere per rendere la scuola digitale è riduttivo. La materia che deve essere insegnata nelle scuole è l’informatica, come emerge peraltro dai curricula proposti o in vigore in USA, UK, Francia, solo per citare alcune nazioni.

Approfondisco adesso la mia posizione, che ho già espresso in vari altri articoli. Alcuni esempi recenti sono qua, qua e qua.

Parto da un’osservazione forse banale, ma utile: le parole non hanno un significato stabilito da qualche entità sovrumana. Assumono il significato che gli diamo nella pratica.

“Coding” ha avuto fino a qualche anno fa l’unico significato di scrittura del codice informatico, cioè di attività di programmazione informatica. Da qualche tempo si insiste su un’interpretazione di questo termine come qualcosa di nuovo e di diverso dall’informatica e si ribadisce questa differenza.

Sostenere che “il coding non è informatica”, provando a dimostrare che il coding è qualcosa di diverso da essa, è di ostacolo per l’obiettivo ultimo, che è quello di avere nella scuola l’insegnamento di una materia che si chiama informatica e che sia riconosciuta e pienamente considerata come “scienza” al livello di matematica, fisica e biologia.

Ritengo sia un grave errore strategico, per diversi motivi.

Prima di tutto il passato ci dice che “coding” è legato allo sviluppo del codice (cioè dei programmi informatici), che è solo una parte di tutta l’informatica e non copre neanche l’intero processo di sviluppo del software. Certo, gli innovatori ed i pionieri della scuola lo caricano di significato nobile e largo. Ma la società in generale, la politica ed i media non lo percepiscono come tale. Rischia di prevalere l’interpretazione “bassa”, operativa. Avete mai letto le critiche di quelli che “cosa insegno a fare a mio figlio a scrivere codice: tra un po’ i programmi informatici li scriveranno i sistemi di Intelligenza Artificiale”?

Inoltre, in Italia (ma non solo – anche se non è una consolazione) si può candidamente dichiarare “io la matematica non la capisco” mentre nessuno si azzarda a dire “io l’italiano non lo conosco”. Ecco, in tale desolante situazione per le materie scientifiche, nella quale inoltre ci si lamenta (giustissimamente) che dalle nostre scuole escono studenti che conoscono pochissimo il nostro patrimonio artistico e musicale (unico al mondo!), non ritengo saggio usare un termine che ha con sé questa valenza applicativa per parlarne come di una materia scolastica. Non promette bene.

Infine, il mondo e la società sono ormai sempre più caratterizzati da attività ed interazioni digitali, basate su una tecnologia che sempre di più influenza e pervade ogni nostra azione e relazione (pensate, solo per fare un esempio, ai problemi della privacy e delle fake news). Si parla ormai correntemente dell’importanza di essere “cittadini digitali”. Ebbene, per questo non basta essere nati circondati da dispositivi digitali con cui abbiamo imparato ad interagire prima che a parlare, né basta imparare a programmarli, è necessaria una formazione sin dai primi anni di scuola sulla scienza che rende possibile tutto questo. Imparare l’informatica è fondamentale per capire, partecipare, influenzare e contribuire allo sviluppo democratico della società. È essenziale per essere creatori e non spettatori del proprio futuro.

Esorto a leggere con attenzione la ricerca internazionale in didattica dell’informatica ed i curricula scolastici proposti a livello nazionale in paesi come USA, UK, e Francia. Si parla di computing o computer science come della disciplina insegnata nella scuola, mentre coding – laddove usato – indica l’attività di programmazione informatica.

È chiaro che quando l’informatica viene usata in modo “trasversale”, cioè nel contesto di altre materie, per esplorare e capire i relativi fenomeni (che è sostanzialmente ciò che accade nella pratica del coding), sembra che uno stia facendo qualcosa di nuovo. Posso capire l’entusiasmo di chi sembra aver scoperto un nuovo continente, ma si tratta pur sempre di informatica.

Quando si usa la matematica in medicina o in letteratura la si chiama sempre matematica perché è sempre la stessa disciplina, anche se usata per altri scopi. La forza scientifica dell’informatica – pari in questo a quella della matematica – e la sua grande bellezza sono proprio in questa sua trasversalità.

Si può anche usare il termine “coding” se si vuole far capire questo uso trasversale, non ci trovo niente di male: basta esser chiari che si tratta sempre di informatica.

Concentriamoci sulla meta strategica, ovvero sull’obiettivo di insegnare l’informatica nella scuola. Non collochiamo il coding fuori dell’informatica e non scateniamo polemiche dialettiche. Cerchiamo di essere costruttivi, il nostro Paese ne ha bisogno.

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