Ha chiesto un milione di euro di risarcimento alla Rai. Il motivo? Sua figlia ha scoperto da una fiction televisiva che lui nella sua prima vita era un killer. È quello che è capitato a Pasquale Di Filippo, pentito di mafia che ha annunciato una causa nei confronti di viale Mazzini. La fiction incriminata è “Il cacciatore“, durante la quale la figlia quattrordinenne del collaboratore di giustizia ha appreso della carriera da killer del genitore: e adesso si rifiuta di parlare col padre.

A raccontare la vicenda è il quotidiano Repubblica, che intervista Di Filippo, ex boss della cosca di Brancaccio e poi fondamentale nel 1995 quando cone le sue dichiarazioni fece arrestare il cognato di Totò Riina, Leoluca Bagarella. Le rivelazione di Di Filippo portarono anche all’arresto del killer di don Pino Puglisi, Salvatore Grigoli ( “Mi diceva: Ma tu ci pensi che noi leviamo la vita alle persone? Aveva fatto 40 omicidi. La sera, i mafiosi ci pensano a quello che hanno fatto”).

Di Filippo ha scontato dieci anni per i quattro omicidi che ha confessato. Sua figlia “è nata – racconta lui – quando ormai ero un altro uomo, con una nuova identità. Fino a qualche tempo fa, sapeva soltanto che avevo aiutato il mafioso Bagarella a nascondersi. Solo questo le avevo detto, fra qualche anno le avrei raccontato tutto. Una sera abbiamo visto una puntata della serie di Rai2 “Il cacciatore”, che racconta del magistrato palermitano Alfonso Sabella e di quella importante stagione di reazione dello Stato dopo le stragi del 1992. A un certo punto, l’immagine si ferma sull’attore che interpreta il mio personaggio. Spunta una scritta: ‘Pasquale Di Filippo, oltre 20 omicidi‘. E vengo dipinto come un torturatore, addirittura coinvolto nel sequestro del piccolo Di Matteo, il figlio del pentito. Tutte falsità, ma intanto il mondo ci crolla addosso”.

La figlia del pentito conosceva il precedente nome del padre e ha urlato: “‘Papà cosa hai fatto?’ – ricorda il collaboratore – E poi si rinchiude nella sua stanza. Da sei mesi vive lì dentro, esce soltanto per andare a scuola, frequenta il liceo classico”.  “Ora – continua Di Filippo – pende sulla mia testa la condanna a morte di Cosa nostra, per questo sono costretto a cambiare spesso città. Non sopporto di essere diffamato, mi sono rivolto al mio avvocato, Carlo Fabbri. Alla Rai e alla società produttrice chiedo un risarcimento di un milione di euro. La storia non si può falsare”.

Il pentito ha anche commentato la latitanza di Matteo Messina Denaro, irreperibile dal 1993. “Nei primi anni Novanta eravamo noi di Brancaccio ad occuparci di lui. Si nascondeva a Bagheria, alle porte di Palermo, e Giorgio Pizzo lo portava in giro con il Fiorino dell’ azienda acquedotti per cui lavorava. Messina Denaro ha avuto sempre un’ attenzione maniacale per la sua sicurezza”. E adesso? “Ci deve essere per forza un mandamento che si occupa del latitante. È la regola”.

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