La stanza era buia, si vedeva poco. Cucchi era disteso sulla branda e si copriva con il telo fin sopra il viso. L’ho incalzato con qualche domanda cercando di avvicinarmi e scoprirlo per vedere come stava, anche se lui continuava a coprirsi e diceva: ‘Non mi serve niente'”. Sono le parole dell’infermiere che visitò Stefano Cucchi la notte del suo arresto, chiamato dai carabinieri che avevano fermato il giovane per detenzione di droga e lo avevano portano nella cella di sicurezza della stazione. L’uomo parla davanti ai giudici della I Corte d’Assise di Roma: “Sono riuscito solo a prendergli la pressione, con parametri regolari, e a vedere i suoi occhi – aggiunge rispondendo alle domande del pm Giovanni Murarò, nel processo in corso a cinque carabinieri – le pupille erano normali ma sotto le palpebre e intorno agli occhi, sullo zigomo, era arrossato. Non era collaborativo e dopo esser stato in quella cella per circa dieci minuti andai via lasciando immutato il codice giallo”. Davanti ai giudici compare anche il portantino intervenuto insieme al collega quella notte: “Non sono entrato nella cella ma stavo lì fuori – chiarisce – Cucchi era disteso sulla branda, non era aggressivo nei nostri confronti anche se immagino fosse agitato per la situazione che stava vivendo. Si copriva il viso con la coperta… diceva che non voleva nulla e non voleva parlare”

Sul banco dei testimoni anche Giovanni Battista Ferri, responsabile dell’ambulatorio medico della Città giudiziaria di Roma, che visitò il giovane nelle celle del tribunale di Roma: “Disse di avere dolori alla zona sacrale e agli arti inferiori. Camminava da solo, al massimo appoggiandosi con la mano al muro. Era leggermente curvo, scaricava parte del peso sul muro; chiese un farmaco che prendeva abitualmente“.  Fu lui, intorno alle 14 del 16 ottobre 2009 (il giorno dopo l’arresto del giovane per droga) ad essere avvisato della presenza di Cucchi nelle celle del tribunale a conclusione dell’udienza di convalida. “Andai nelle celle, mi presentai e gli chiesi cosa potevo fare per lui; la risposta fu che non aveva bisogno di nulla”. Sulle condizioni di Cucchi, “Lo vidi solo in viso. Nel referto scrissi che aveva lesioni ecchimotiche su entrambi gli occhi e che aveva riferito dolori alla regione sacrale e agli arti inferiori. Secondo me erano lesioni da evento traumatico, e dal dolore sembravano lesioni recenti, ma lui rifiutò di farsi visitare”. E alla richiesta sul come si fosse procurato quel dolore, la risposta fu “che era caduto dalle scale il giorno precedente, anche se quella risposta non mi convinse. Comunque, le sue condizioni di salute consentivano di andare in carcere; era idoneo per il carcere”. Prima del dottor Ferri è stato sentito anche un ex detenuto, portato nelle celle di piazzale Clodio lo stesso giorno di Cucchi dopo un arresto per spaccio, il quale ha detto di aver sentito Cucchi bussare alla porta della cella. “Chiedeva la terapia e il metadone, chiamava le guardie, ma non venivano. E allora qualcuno dalle celle disse di non chiamarle guardie, ma agenti. E quando cominciò a chiamarli così, loro arrivarono”.

Sono cinque i carabinieri imputati nel processo sulla morte del geometra romano avvenuta il 22 ottobre del 2009: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

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