Sono 43 le università italiane presenti nell’edizione 2019 del prestigioso World University Rankings pubblicato dalla rivista inglese Times Higher Education, tre in più rispetto allo scorso anno. E tre sono anche gli atenei del nostro Paese che entrano a far parte delle migliori 200 università di tutto il mondo. Alla Scuola Superiore Sant’Anna e alla Scuola Normale Superiore di Pisa, quest’anno si aggiunge, infatti, anche l’Università di Bologna. In generale, comunque, la performance dei nostri istituti migliora, nonostante la concorrenza sempre più forte a livello globale, ma in Europa occorre tenere alta la guardia. Il cambiamento del clima politico nel vecchio continente, infatti, preoccupa gli esperti, che temono effetti negativi sui sistemi di istruzione.

La classifica annuale, giunta al suo 15° anno, continua a essere l’elenco più completo (e competitivo): oltre 1.250 gli istituti di istruzione superiore presi in esame in tutto il mondo, un incremento rispetto ai 1.100 dello scorso anno, con 86 Paesi rappresentati (nel 2017 erano 81). Tra i criteri l’ambiente formativo, la ricerca, la prospettiva internazionale e le citazioni. I primi dieci posti se li contengono Stati Uniti (che occupa sette posizioni) e il Regno Unito (con tre atenei, l’Università di Oxford, quella di Cambridge e l’Imperial College London, rispettivamente al primo, secondo e nono posto).

LE UNIVERSITÀ ITALIANE NEL PANORAMA MONDIALE – La maggior parte delle istituzioni italiane precedentemente incluse nella classifica è rimasta stabile (21 atenei) o ha scalato posizioni (11) e le tre principali università hanno fatto dei passi in avanti. L’istituto italiano di punta, la Scuola Superiore Sant’Anna, guadagna due posizioni arrivando fino alla 153ma, mentre la seconda università più importante, la Scuola Normale Superiore di Pisa, scala 23 posizioni raggiungendo il 161° posto, con i più importanti miglioramenti del punteggio nell’ambito di docenza e ricerca. L’Università di Bologna, invece, raggiunge la 180^ posizione grazie ai miglioramenti del punteggio nell’ambito di docenza, ricerca, impatto delle citazioni (influenza delle ricerche), introiti del settore e prospettiva internazionale. Nel frattempo, l’Università di Padova registra un miglioramento significativo che la porta tra le prime 250 a livello globale, l’Università di Napoli Federico II entra tra le prime 350 e l’Università cattolica del Sacro Cuore e l’Università di Ferrara entrano entrambe tra le prime 500.

“È stato un anno molto positivo per l’Italia – ha dichiarato Phil Baty, direttore editoriale di Global Rankings presso la rivista – 43 istituti italiani sono presenti nella nostra classifica del 2019, con tre nuove entrate e tre presenze nell’élite globale delle prime 200. Tuttavia per continuare a migliorare, le università italiane farebbero bene a investire di più per incrementare la loro capacità di ricerca e le collaborazioni internazionali”.

LA TOP TEN – L’Università di Oxford si stabilisce al primo posto per il terzo anno consecutivo, risultando anche prima nell’ambito delle ricerche (volume, reddito e reputazione). Cambridge si mantiene al secondo posto, mentre Stanford negli Stati Uniti conserva il terzo. Il Massachusetts Institute of Technology (MIT) sale di una posizione raggiungendo il quarto posto, ma il California Institute of Technology (Caltech) passa dalla terza posizione ex-aequo alla quinta (tuttavia l’università primeggia nell’ambito dell’insegnamento (ambiente di apprendimento). Seguono Harvard, Princeton e Yale negli Stati Uniti. Quest’ultima è l’università che ha scalato più posizioni tra le prime 20, guadagnando quattro posti nella top 10 e passando all’ottava posizione. Nona e decima posizione per l’Imperial College London e l’Università di Chicago.

IL PRIMATO DEGLI STATI UNITI E LA CONCORRENZA DELLA CINA – Gli Stati Uniti continuano a dominare la classifica globale definitiva con 172 istituti (da 157), anche se la maggior parte di queste università, 130, perdono posizioni o rimangono stabili. E, intanto, prosegue la rapida ascesa della Cina. Il Paese, infatti, è il quarto più rappresentato a livello globale in classifica, con 72 università (da 63). Al 22° posto con otto posizioni in più, l’Università di Tsinghua. La classifica rivela: segni di stagnazione attraversano Europa, Stati Uniti e Australia con l’intensificarsi della concorrenza globale. “Poiché la Cina e altre nazioni emergenti mettono le università al centro delle loro strategie di crescita economica nazionale – ha aggiunto Baty – potrebbero benissimo sfidare il costante dominio anglo-americano della classifica negli anni a venire”. Continenti storicamente forti come America, Europa e Australia stanno sperimentando, invece, “gli effetti dell’inasprimento dei tagli e dello strisciante isolazionismo”.

COSA ACCADE IN EUROPA – Nel Regno Unito, Oxford e Cambridge mantengono le due posizioni di punta a livello globale, ma il Giappone supera la Gran Bretagna come Paese con la maggiore rappresentanza in classifica dopo gli Stati Uniti. Proprio la concorrenza a livello globale mette in evidenza un quadro eterogeneo in Europa. Sette istituti europei sono presenti tra i primi trenta della classifica del 2019 (stesso risultato dell’anno scorso) e le università europee occupano quasi la metà della classifica delle prime 200.

“Se da una parte assistiamo a un grande successo di molti Paesi e università europei nella classifica di quest’anno – ha spiegato Ellie Bothwell, editore di Rankings per Times Higher Education – un cambiamento del clima politico che attraversa il continente potrebbe danneggiare nei prossimi anni molti dei sistemi di istruzione superiore. Le università nel Regno Unito, e in Europa nel loro complesso – ha aggiunto – saranno svantaggiate se la mobilità pan-europea e le collaborazioni di ricerca verranno limitate come conseguenza di Brexit, mentre l’ascesa del populismo di estrema destra sta già influenzando la libertà accademica delle università in Paesi come l’Ungheria”.

Articolo Precedente

Concorso presidi al via il 18 ottobre. “Ma non c’è nessuno screening psicologico e non si considera l’esperienza”

next
Articolo Successivo

Università, troppi corsi e pochi docenti (che resistono) a Ingegneria

next