Con sorprendente ciclicità si torna a parlare di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Non tanto delle sue opere, ma delle cause della sua morte e, ovviamente, del luogo della sua sepoltura, che restano avvolti nel mistero.

Riprendendo un testo dell’Ihu Méditerranée Infection di Marsiglia (che fa riferimento a un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Infectious Diseases) il sito web “Qaeditoria” ha titolato di recente “Caravaggio: morto per uno stafilococco aureo”. Un po’ come accade per la Mona Lisa – il famoso dipinto di Leonardo da Vinci perennemente al centro di eclatanti scoperte – anche per Caravaggio pareva che l’ennesima notizia riguardante lo sfortunato pittore lombardo fosse difficilmente sostenibile senza dei fatti concreti. Invece pare che dei passi avanti si siano realmente fatti e che quest’ultimo tassello di verità sia compatibile proprio con i risultati di una lunga e circostanziata analisi scientifica. Anche se mettere d’accordo tutta la comunità scientifica è un’altra cosa…

Ma andiamo per gradi.

Caravaggio morì a Porto Ercole, in Maremma. Il dato è un po’ più certo dopo che, nel 2001 nei registri della parrocchia di Sant’Erasmo a Porto Ercole, in un libro dei conti del 1656, è stato rinvenuto l’atto di morte dell’artista che riporta testualmente “A dì. 18 luglio 1609 nel ospitale di S. Maria Ausiliatrice morse Michel Angelo Merisi da Caravaggio dipintore per malattia”. A prima vista salta agli occhi che l’anno citato è 1609 e non 1610, però l’errore è plausibile poiché nell’area di Porto Ercole al tempo non fosse ancora stato introdotto il calendario gregoriano, oppure potrebbe trattarsi di una svista di trascrizione. Tuttavia l’atto ha spinto a ricercare con maggiore accuratezza la sepoltura di Caravaggio.

Intorno al 1610 gli stranieri di misere condizioni venivano sepolti nel cimitero di San Sebastiano di Porto Ercole e sicuramente lì venne sepolto il Caravaggio. Tuttavia nel 1956, a causa dei interventi per l’ampliamento della strada di accesso al paese, i resti funebri dell’antico cimitero furono traslati in una cripta dell’attuale cimitero, e qui si sono concentrate le ricerche del gruppo di scienziati che, dopo aver sondato anche le cripte del forte spagnolo e la cripta della chiesa di Sant’Erasmo, hanno selezionato alcuni scheletri rinvenuti ed effettuato numerosi test scientifici ritenuti attendibili. Arriviamo infine al 16 giugno 2010 quando l’equipe di ricercatori ha ufficialmente sostenuto che le ossa ritrovate, con un’accettabile percentuale di sicurezza sono quelle di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.

A spiegare come si è giunti a questa conclusione è il professor Giuseppe Cornaglia, microbiologo dell’Università di Verona: “Premetto che è matematicamente impossibile esser certi al 100% che si trattasse delle ossa di Caravaggio, ma l’approssimazione si è via via ridotta poiché è stata effettuata la ricerca del Dna antico in 7/8 resti ossei e confrontato con alcuni determinanti specifici di una serie di individui maschi della zona del bergamasco con cognomi simili al Caravaggio, dell’età presunta in cui morì l’artista. I risultati ottenuti hanno indicato delle concordanze tra i Dna con una verosimiglianza che oscilla tra il 70 e l’80%”.

E dal momento che tra i resti ossei antichi c’erano anche dei denti, la ricerca del professor Cornaglia è andata più a fondo poiché da questi è stata estratta la polpa, ricca di vasi sanguigni. Utilizzando tre differenti metodi di rilevamento del Dna, è stato possibile identificare lo Staphylococcus aureus come l’assassino del Merisi: un batterio color oro (da qui il nome) responsabile di numerose infezioni secondo le aree del corpo colonizzate.

“Per esempio nel sangue – aggiunge il docente veronese – abbiamo trovato del colorante bianco, tipico in coloro che dipingevano. Inoltre un’altra conferma l’abbiamo avuta grazie alla ricerca e al confronto delle proteine antiche, una sperimentazione nuova. Infine un dato storico nuovo che concorre a sostenere la tesi che quelli analizzati fossero proprio i resti di Caravaggio: lo si ricava da una lettera scoperta di recente, in cui si afferma che il Merisi compì il suo ultimo viaggio in barca colcorpo coperto da ferite dovute all’ultimo pestaggio di cui fu vittima. Ecco – conclude Cornaglia – quella era la situazione ideale per il batterio dello stafilococco che poi ha ucciso l’artista”.

Come scritto, questi sono i risultati: al 75% i resti ossei interessati dalla ricerca erano di Caravaggio. E comunque l’individuo analizzato, morì di stafilococco aureo.

Però c’è chi avanza delle perplessità. Dario Piombino Mascali, antropologo siciliano che da anni lavora all’Università di Vilnius, in Lituania: “Da antropologo posso confermarti che è impossibile identificare i resti di Caravaggio. Prima di tutto le ossa: osteologicamente è difficile stabilire l’età precisa dei reperti poiché i metodi utilizzati fanno riferimento in larga parte a ricerche svoltesi negli Stati Uniti e in epoche recenti. Cioè di stato socioeconomico diverso rispetto alle persone che devono essere verificate dall’antropologo o dall’archeologo. Quindi la stima dell’età alla morte nell’adulto si rivela troppo approssimata; inoltre il metodo del radiocarbonio (C14) presenta un range di vari decenni, per cui stabilire una data certa diventa estremamente difficile. Infine il piombo, cui si fa riferimento nell’articolo di Lancet e che lo si ritrova a livelli alti ne resti dei pittori: in realtà è diagenetico – prosegue Piombino Mascali – e può essere acquisito dall’osso durante la giacitura. Per esempio c’è un caso, quello della cripta di Spitalfields, a Londra, dove negli anni Ottanta emersero numerose incongruenze tra l’età biologica e quella cronologica di alcuni resti. Ciò indicò il bisogno di una profonda revisione dei metodi usati per stimare l’età alla morte. In poche parole, con riferimento alla ricerca su Caravaggio, ritengo sia impossibile stabilire con certezza a chi appartengano quei resti”.

L’articolo su The Lancet

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