Ricordiamo l’obiettivo fondamentale, che è quello di riportare la manifattura italiana all’interno del mondo produttivo internazionale per ottenere più lavoro. Dobbiamo invertire la direzione dell’emarginazione cui la nostra industria manifatturiera è stata sottoposta fino a oggi. C’è una sola via maestra: spostare le oggi grandi attenzioni tradizionalmente riservate al prodotto e indirizzarle con maggior decisione verso il mercato, verso la domanda (italiana ma, soprattutto, internazionale). Mercato, mercato, mercato.

È essenziale introdurre pesantemente il concetto di business=prodotto/mercato. Si tratta di un vero e proprio programma scolastico che bisogna decidersi ad avviare anche nelle scuole superiori, e non soltanto all’università. Ci si ricordi bene che ormai una buona qualità del prodotto non è più un plus, ma è diventata un prerequisito. Abbiamo al nostro stesso interno tre grandi nemici che lavorano contro:

a. Il più grande e dannoso di tutti è la grande frammentazione del nostro sistema manifatturiero produttivo che spesso e volentieri non riesce a vedere con chiarezza il mercato, la domanda e le loro evoluzioni, essendo così costretta spesso a procedere a tentoni con gli investimenti.

b. Non molto meno dannosa è la tradizionale attenzione al prodotto, alla produzione, ai costi. Sì, era un plus essenziale quando la domanda superava l’offerta, ma oggi è vero, purtroppo, il suo contrario.

c. Una cultura gestionale (ci sono eccezioni, ovviamente e per fortuna) diffusamente arcaica, spesso ancora casereccia, poco attenta al problema della liquidità, che ancora confonde liquidità con l’accesso al prestito bancario; purtroppo spesso non capisce che la vera liquidità è quella autoprodotta, che gli americani hanno definita cash-flow e che non ha niente a che vedere coi flussi di cassa della nostra cultura amministrativa/ragionieristica. E che pertanto non controlla, mentre è proprio questa l’essenza della sopravvivenza e del successo aziendale.

Abbiamo di fronte una battaglia molto importante, forse decisiva, e come in tutte le battaglie dobbiamo schierare i nostri reparti che sono strutturalmente molti e molto forti. Il compito degli ufficiali è di usarli bene. Non abbiamo bisogno di fare nuovi acquisti di strumenti produttivi.

La leva fondamentale è costituita dalle aziende del Gruppo B, end-use oriented, che devono formare la punta d’attacco dello schieramento. Dietro devono venire le aziende del Gruppo A (subfornitura) ma il più possibile legate a quelle del Gruppo B. Così facendo queste aziende (il vero punctum dolens del nostro “esercito manifatturiero”) acquisiscono in via indiretta una visione del mercato, alla condizione che si pongano il più possibile in rete con una o più aziende del Gruppo B. Questi legami possono essere stabili, perenni o soltanto duraturi a tempo.

La teoria olonica questo prevede: la disponibilità degli strumenti legali per operare in questo modo è già efficiente e completa. Tutto ciò non si raggiunge senza un coordinato intervento politico-strutturale. E cioè:

1. Mise: abbandono della suddivisione per prodotto (arcaica e pletorica) per avvio verso una struttura per business.

2. Mise: mappatura del quadro manifatturiero italiano per business (oggi inesistente).

3. Nuovo dispositivo fiscale che rafforzi sia le aziende del Gruppo B (end-use oriented) che quelle aziende del gruppo A che si pongono in rete con quelle del Gruppo B.

4. Creazione di un sistema di scouting business-oriented rivolto al mercato internazionale.

5. Istituzione di un sistema assicurativo all’export (tipo Sace) ma preferenziale per aziende Oem dotate di sussidiarie in rete.

6. Il tutto senza alcuna forma diretta o sottesa di obbligatorietà.

Certo, c’è molto da aggiungere, ma quanto scritto finora è l’essenziale. Oltretutto condurrebbe al vantaggio di non toccare per nulla le singole proprietà di tutte le imprese coinvolte, ma creerebbe una sinergia di capitali propri quanto mai benefica per la nostra economia industriale.

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