Cannibal Tunisia. Non ci sono solo le streghe di Suspiria sul red carpet veneziano 2018. Alla Settimana Internazionale della Critica, la sezione in cui concorrono solo opere prime, irrompe Dachra. Un sapore di horror e ossa, di budella appese come fossero panni, di un Blair witch project che non ha nulla di inventato ma che si basa su fatti realmente accaduti e che accadono ancora oggi. Yasmine, Whalid e Bilel sono tre studenti di giornalismo all’ultimo anno di università. La loro curiosità cade su un caso irrisolto, quello di Mongia, una tizia trovata 25 anni prima ai bordi di una strada di campagna, sgozzata e mutilata, ma sopravvissuta ed ora rinchiusa in un sordido e ululante manicomio. Su di lei aleggia il marchio malefico della stregoneria. La ragazzotta e i suoi due colleghi si armano di videocamera ultramoderna per intervistare Mongia nell’istituto e capire da dove proviene. L’incontro con la donna, modello Hannibal Lecter, è rocambolesco e parecchio teso. Ma finalmente si viene a scoprire di un villaggio sperduto e isolato nella foresta di nome Dachra.

I tre partono alla volta del paesello nascosto, ma oltre a faticare un pochino per arrivarci, una volta arrivati scoprono che non c’è più campo per i telefonini, e che nessuno tra capre e donne velate ha voglia di parlare con i nuovi arrivati perché tutti intenti a sbranare tocchi di carne che non paiono di alcun animale riconoscibile. Dimenticavamo: prima che i tre partissero abbiamo assistito al sogno ricorrente di Yasmine, che l’anziano zio non ha di certo minimizzato, ovvero quello di una strega tutta vestita di nero che incombe su di lei. Con Dachra, diretto dal giovane tunisino Abdelhamid Bouchnak, si salta parecchio sulla sedia dalla paura. L’inquadratura prevede spesso le facce dei protagonisti occupare un angolo del quadro lasciando del vuoto in profondità di campo oppure tra l’obiettivo e gli attori sbuca qualche intralcio materiale per infastidire ulteriormente l’occhio dello spettatore. Di fondo però, Bouchnak si affida ad una sua sintesi linguistica più classica del genere dove si corre nel racconto e si accelera nel tempo per piazzare il colpo di scena, e dove non si lesina di certo nello splatter. Quello che però colpisce di più in questa opera prima horror è la fusione tra suggestione del reale e versione finzionale.

Dal momento che il testo e l’immagine mescolano con efficace realismo fatti storici e di cronaca, tradizioni “zouhri” e presenza dei “djinn”, in questo abisso orrorifico, esoterico e misterioso, che coniuga stregoneria e sacrifici di bambini. “In Tunisia e in Africa del Nord gli atti di stregoneria sono molto comuni”, spiega il regista. “Due anni fa si è scoperto l’omicidio di un bimbo di 4 anni da parte di sua zia con lo zio complice. Il bimbo è stato pugnalato decine di volte e il suo sangue conservato perché considerato sacro. In un cimitero recentemente sono state ritrovate fotografie, come si vede nel mio film, con scritte del Corano al contrario. Sono foto utilizzate per culti che risalgono ai tempo dei faraoni. Per noi oggi, qualcosa di davvero terrificante”. E nonostante Bouchnak parli di ispirazione ad atmosfere modello L’Esorcista e di una estetica alla Stalker di Tarkovsky, Dachra ha anche un coté fortemente politico: “L’obiettivo è quello di mettere in scena un conflitto generazionale che stiamo vivendo in Tunisia dopo la dittatura. I giovani non possono prendere decisioni importanti nella società, mentre la generazioni dei loro padri e zii conosce i segreti del passato ma non reagisce continuando a subire. Yasmine, in fondo, rappresenta la giovinezza che cerca un suo avvenire”.

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