“Ce l’ho messa tutta per restare in Italia, ma il nostro sistema accademico è troppo chiuso”. Filippo Sposini, dottorando in Filosofia della Scienza presso l’Università di Toronto, non riesce a nascondere un velo di amarezza. Originario della provincia di Perugia, dopo la maturità si è trasferito nel nord-est per frequentare la facoltà di Psicologia. Ma dopo aver portato a termine la magistrale si è trovato davanti a una porta troppo difficile da aprire: “Volevo restare in Italia per continuare i miei studi, passando da psicologia all’ambito più storico-filosofico, ma questo ha complicato tutto – racconta – in Italia è estremamente difficile cambiare dipartimento, anche se dimostri di avere competenze in materia”.

Filippo, però, era motivato ad andare avanti: “Ho deciso comunque di fare domanda per il dottorato, – ricorda -, anche se in molti me l’avevano sconsigliato io ero convinto di potermela giocare alla pari”. Al concorso si presentano 250 candidati per sei posti: “Dopo la selezione per titoli siamo rimasti in 25, ma già prima dei colloqui orali si vociferava che fosse già tutto stabilito”, racconta. Dopo aver scoperto di non aver vinto la borsa di studio, Filippo ha capito che era arrivato il momento di fare le valigie: “Dopo aver visto la graduatoria sono passato al piano b, ovvero andare all’estero – ricorda – ma sapevo che anche quella sarebbe stata una bella sfida”.

Dopo la selezione per titoli siamo rimasti in 25, ma già prima dei colloqui orali si vociferava che fosse già tutto stabilito

È l’inizio di un periodo molto intenso: “Quell’estate ho mandato ottanta applicazioni a varie università, principalmente tra Canada, Stati Uniti, Australia e Inghilterra”, racconta. E alla fine la scelta è ricaduta sul primo Paese: “Ho condiviso questo cambio di vita con la mia compagna, per cui siamo arrivati insieme a questa decisione – ammette -, il Canada ci sembrava in grado di offrire le prospettive migliori a entrambi”. Non senza sacrifici: “Durante il giorno lavoravo come stagista in una multinazionale specializzata nel settore delle risorse umane e quando staccavo alle 18 correvo in biblioteca a preparare i progetti da presentare alle università estere e a perfezionare il mio inglese”, ricorda.

I suoi sforzi, alla fine, sono stati ripagati: “Sono arrivate lettere di ammissione sia dall’università di Montreal che da quella di York e di Toronto, ma alla fine ho optato per quest’ultima”, racconta. Anche perché Filippo si è trovato davanti a una richiesta inaspettata: “La University of Toronto mi ha contattato ufficialmente per poter vedere le offerte economiche degli altri atenei, in modo da poter fare una controfferta – spiega -, e due giorni dopo ho ricevuto una comunicazione ufficiale in cui mi dicevano che per la mia ricerca erano stati stanziati altri diecimila dollari”. Un incentivo basato esclusivamente sul merito: “Io non avevo avuto alcun contatto diretto con loro, se non attraverso i documenti che avevo mandato e un colloquio via Skype – sottolinea -, hanno fatto la loro scelta solo in base alle mie competenze e ai miei progetti”. Cosa che in Italia non sarebbe possibile: “Da noi le facoltà non hanno la possibilità di stabilire l’entità della borsa di studio e questo le rende più deboli da un punto di vista contrattuale agli occhi degli studenti stranieri”.

Tornare è complicato. Quando vivi all’estero ti rendi conto che il nostro Paese ha un costo di carriera non indifferente

A un anno di distanza dal trasferimento, le attese non sono state deluse: “Abbiamo ottenuto il visto in tre giorni, tramite procedura online e la mia compagna ha trovato lavoro in un’azienda nel giro di una settimana – sottolinea –. Il Canada non poteva accoglierci meglio”. Al momento, quindi, il capitolo Italia è archiviato: “Tornare sarebbe complicato, anche perché quando vivi all’estero ti rendi conto che il nostro Paese ha un costo di carriera non indifferente. E al momento voglio godermi questi altri quattro anni di ricerca qui, poi per il futuro si vedrà”.

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