Altro scarto di Cannes. Si dice in giro. Peterloo non faceva per loro, avrebbero spiegato dalla Croisette. Invece a Venezia 75, in Concorso, il tredicesimo film di Mike Leigh sembra stare molto a suo agio. Un dramma storico, potente e tragico, disegnato sulla traiettoria alto/basso, aristocrazia/popolo, che attraversava e connotava in modo totalizzante l’Inghilterra del 1819. Inquadrature di masse, seppur con i ritocchi in digitale a moltiplicare la folla in profondità di campo, che segna una mini “svolta” nella carriera del più volte premiato 75enne regista inglese. Dall’intimismo spinto di un Segreti e Bugie, Mr.Turner o Il segreto di Vera Drake (Leone d’oro a Venezia nel 2004), Leigh si è gettato a capofitto nel racconto allargato e corale, in un’epica popolare della povera gente, soldati impazziti a Waterloo, operai tessili, contadini, sguattere, cameriere, fabbri e arrotini (nessuna grande star tra gli attori) che chiedeva l’abbassamento del costo del pane e che ogni uomo potesse avere il diritto di voto.

Il massacro di Peterloo, 15 morti e oltre 400 feriti, prese il nome dalla piazza Peter’s Field di Manchester dove il 19 agosto 1819 si ritrovarono in pacifica protesta oltre 60mila persone ad ascoltare l’oratore Henry Hunt. Sarà la cavalleria reale a sciabole sguainate, con ancora diversi soldati superstiti di Waterloo tra le sue fila, a caricare la folla. Da qui la crasi giornalistica, settore alquanto pioneristico all’epoca, che diede nome al massacro. 

Peterloo inizia proprio dal campo di battaglia dove l’anelito rivoluzionario napoleonico venne momentaneamente messo a tacere dalla Settima Coalizione. Leigh sceglie di inquadrare e seguire uno sconvolto giovane trombettiere dell’esercito inglese caracollante in mezzo alla macerie e ai cadaveri dei compagni d’arme. Il ragazzo torna solitario e impaurito a casa, proprio a Manchester, dove la condizione della popolazione è allo stremo. Un luogo che ministri e funzionari del governo definiscono il “nord insurrezionalista”, e dove diversi “illuminati”, assieme agli editori di un giornale locale, stanno arringando la fasce più umili della città e delle campagne per giungere ad un raduno di massa e reclamare i diritti naturali, a prescindere dalle condizioni economiche, che spettano ad ogni essere umano. Un po’ illuminista e un po’ cristiano, il credo trasmesso alla plebe viene reso cinematograficamente da Leigh con una trovata originale, efficace ed estremamente realistica.

Gli attori, infatti, recitano monologhi in pubblico tratti pedissequamente da documenti dell’epoca: sia quelli di sobrietà e pace della “celebrità” del settore Hunt; sia quelli “libertà o morte” dei manifestanti più ardimentosi e radicali; sia quelli dell’assemblea delle donne riformiste. Un arcipelago utopico di egualitarismo e democrazia che dovrà comunque attendere almeno un altro secolo per andare oltre le condizioni miserabili da romanzi di Dickens. Leigh tratteggia un affresco denso di suggestioni dal naturalismo pittorico, saltando dagli interni delle famiglie povere alle stanze degli orridi e sadici notabili del luogo (sono loro, nella loro presunta superiorità di nascita e censo, ad ordinare la carica mortale), finendo poi le oltre due ore e mezza di film nella piazza del massacro muovendosi disinvolto tra centinaia di comparse. Lavoro di set designer puntiglioso e credibile (17 milioni di dollari, il film ovviamente più caro del regista inglese, abituato a cifre di almeno un quarto o un quinto di questo budget), Leigh – anche sceneggiatore – vuole marcare fin dalla prima mezz’ora l’ingiustizia perpetrata dalle classi agiate ribollenti odio e superiorità morale alla plebe coi denti gialli vestita di stracci.

La plateale prepotenza con cui le autorità reali, nobiliari e borghesi, fanno carta straccia del Bill of Rights o dell’Habeas Corpus, o le mostruose pene inflitte, anni fitti di prigione per chi rubava un cappotto, un orologio, o anche solo due bottiglie di vino, sono gli atti prevaricatori archiviati dalla storia ufficiale. “Del massacro di Peterloo non se parla molto sui libri di storia”, ha spiegato Leigh al Lido di Venezia. “Questo è un film sulla nascita della democrazia moderna europea e parla direttamente alle persone del XXI secolo. Ha attinenza con il quotidiano perché ogni giorno ci troviamo davanti al potere che viene tolto al popolo. Rifugiati e migranti si spostano e perdono il tetto del loro mondo a causa di politiche repressive, nell’impossibilità di esercitare i propri diritti”. Distribuisce Amazon Studios.

Articolo Precedente

Festival di Venezia 2018, Dakota Johnson e Tilda Swinton al Lido con Luca Guadagnino: è il giorno di “Suspiria”

next
Articolo Successivo

Festival di Venezia 2018, lo scioccante Suspiria di Guadagnino è ambizioso e di difficile codifica. Che ne penserà Dario Argento?

next