di Germano Fiore

Avviso ai lettori: post un po’ lungo, figlio di sottofinale di vacanze estive – perché il 3 settembre finisce la pacchia – e della conseguente maggiore frequentazione del 2.0 allargato (durante l’anno fortunatamente lavoro).

1. Ho notato la decrescente distanza tra le fonti di informazione da cui abitualmente attingo: carta stampata, social network, televisione (non necessariamente in quest’ordine di preferenza). Segnatamente, vedo una progressiva omologazione della carta stampata e della tv verso la tipologia di info da social: pochi contenuti, ricerca della sensazione, scarso approfondimento, tendenza alla parolaccia (ne sono un estimatore ma la bocca che la pronuncia fa sempre la differenza).

E fin qui niente di nuovo e anche comprensibile. Se fossimo negli anni 2000 sarebbe colpa di Berlusconi, di Emilio Fede e del Grande Fratello, ma siamo nel 2018 e tocca a Casaleggio, a Belpietro e a qualche youtuber. Umberto Eco diceva: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli“. Questa massima mi appare oggi utilmente applicabile a svariati editorialisti di prestigiose testate e a tanti mezzibusti dalle sopracciglia depilate.

2. La variegata platea di miei amici virtuali – vanto qualche intellettuale vero, tanti finti, un po’ di impegnati in politica eletti e non, un bel po’ di borghesi come me, qualche incazzato cronico e svariati cinici disillusi – è attualmente impegnata nella nuova mitologia Salviniana (fatta di selfie, revoche e presunti sequestri di persona), si interroga sui pericoli/speranze di transizioni totalitarie, analizza/apprezza/teme il funerale in corso dei partiti “storici”, Pd in testa ma anche tutto il vecchio centrodestra. Lo fa con toni, sostantivi  e attributi netti, apodittici, a tratti più brutali di un selfie di Stato che per alcuni benpensanti ha rappresentato la “fine della civiltà”.

3. Mi risuona un motivetto in testa: “Tutti vogliono un fenomeno, ma se poi diventi un fenomeno, cadi a terra in questo domino” (Fabri Fibra, Fenomeno).

4. Nell’hotel family friendly dove attualmente giaccio esiste uno spazio, “la cucina delle mamme”, dove le madri di infanti possono ritrovarsi per cucinare, insieme, aiutandosi reciprocamente, le pappe per i più piccoli. A una prima occhiata mi fa sorridere amaro, a una seconda no.

Allora? Qualcuno penserà: “Come si tengono insieme un mezzobusto, un post su un selfie funebre, Fabri Fibra ed una banda di mamme con le padelle?”. Con Erich Fromm, dico io. Con il conformismo gregario, in salsa linguistica. Il conformismo gregario si mostra nella necessità di inserirsi nella società, nel potente desiderio di essere socialmente riconosciuti. A ciò è dovuto il livellamento del gusto e del giudizio (e del linguaggio, dico io). Si forma una nuova moralità che viene a sostituire la legge morale o la legge morale umanistica.

Il linguaggio non è solo figlio del pensiero: genera pensiero. E l’assimilazione della modalità comunicativa sta assimilando e assimilerà ancor di più i pensieri. Mi sembra sempre più necessario conservare la propria individualità linguistica, non omologarla, correre il rischio di non essere compresi, avere la speranza che il proprio dire generi un pensiero nuovo nell’altro e in se stessi, non rinunciare alla propria complessità (per chi ce l’ha) o alla propria semplicità (che non è meno della complessità). In breve, osteggiare con testarda cocciutaggine l’omologazione socializzante comunicativa che ricerca fan e non estimatori.

La cucina delle mamme è questo, uno spazio social condiviso dove si coltivano le differenze culinarie nel rispetto del gusto dei propri figli: una rinuncia all’appiattimento sui desideri livellanti dello chef. Fabri Fibra, poi, dice: “Perché non contano le parole, contano i fatti. Anzi facciamo un selfie, perché non contano le parole, contano i fan”. Quanto ha ragione. Amici miei pensanti, io continuo a preferire Vittorio Alfieri. Per me “dire altamente alte cose, è un farle in gran parte”, ma basta dirle anche “mediamente”, come me, purché rispettino la propria individualità, linguistica e non.

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