Annunciandola come misura straordinaria per riprendere il controllo della pubblica sicurezza ormai alla deriva, il presidente brasiliano Michel Temer definì la decisione di inviare l’esercito federale a Rio de Janeiro, esautorando le strutture di polizia dello Stato, come “un’azione necessaria di guerra al narcotraffico”. E da quando lo scorso febbraio il generale Walter Braga Netto ha assunto pieni poteri discrezionali di gestione delle attività di contrasto alla criminalità a capo di un mini esercito da 170mila unità, le statistiche rimandano effettivamente i numeri di una guerra, soprattutto per il numero di morti tra i civili e le denunce di violazioni dei diritti umani registrati. Solo tra febbraio e luglio, ben 738 sono state le persone uccise dalle forze di sicurezza federali e statali a Rio de Janeiro. Una cifra che segna un impressionante aumento del 35% rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente. Nel dossier di denuncia preparato dall’Osservatorio sull’intervento militare e basato sui numeri ufficiali forniti dall’Istituto di pubblica sicurezza dello stato, sono elencate anche le 31 stragi di civili, le 4850 sparatorie e una lunga serie di denunce di abusi commessi dai militari ai danni in particolare di residenti delle favelas.

Complessivamente le morti registrate come “omicidi conseguenti a interventi della polizia”, meglio noti come ‘atti di resistenza’ sono state 895 tra gennaio e luglio: il numero maggiore dal 1998 quando le istituzioni hanno iniziato la raccolta statistica su questo tipo di violazioni. Una persona cade morta sotto i colpi esplosi dalle armi delle forze di sicurezza ogni 6 ore. Rispetto allo scorso anno, quando i casi registrati nei primi sette mesi furono 643, l’aumento è stato del 39,2%. Soltanto nel mese di luglio 2018 si sono registrati 129 morti. Nel luglio 2017 erano stati 129. Nei primi sette mesi del 2018, si sono contati dunque gli stessi morti dei primi quattro anni della serie storica tra il 1998 e 2001 insieme: 926 casi. Un trend di crescita inquietante consolidatosi soprattutto nel corso degli ultimi 4 anni. Nel 2014 gli ‘atti di resistenza’ erano stati 584, nel 2015 ben 645, e nell’anno olimpico addirittura 925.

Il numero complessivo di omicidi nel solo stato di Rio de Janeiro tra febbraio e luglio è stato di 3.479, il 5% in più rispetto all’anno precedente. Da anni la situazione della pubblica sicurezza a Rio è di crisi profonda. Una crisi causata da vecchie e inefficaci logiche di contrasto alla criminalità, da nuovi scenari criminali, e dagli effetti del fallimento del piano di pacificazione delle favelas della città di Rio, la Upp, messo in campo per le Olimpiadi del 2016, e di fatto abbandonato subito dopo. Il presidente Michel Temer nel motivare l’intervento federale, aveva scaricato sulla sola recrudescenza dell’attività dei gruppi criminali la responsabilità della crisi. Una recrudescenza che neanche la Upp era riuscita a contrastare. In realtà il processo di pacificazione, pensato ufficialmente nel 2008 per strappare le favelas ai trafficanti, è stato abbandonato progressivamente dopo la fine delle Olimpiadi, mostrando quanto sia stato più che altro un’operazione di facciata, per offrire all’estero una sensazione di sicurezza e controllo. Finite le Olimpiadi, vista la profonda crisi economica dello stato, il progetto ha registrato un arretramento in pari con la diminuzione dei fondi per la sicurezza. E i trafficanti di droga non si sono fatti attendere. Il riassetto dei due principali gruppi criminali del paese, il carioca Comando Vermelho e il paulista Primeiro Comando da Capital, i cui effetti si sono tradotti in stragi in tutto il paese, vede in Rio de Janeiro un punto nevralgico. Considerata l’incapacità della polizia di Rio de Janeiro nel contenere la minaccia e la crescente spirale di violenza, l’unica soluzione, è stata giudicata l’invio dell’esercito.

Un’azione criticata sin dall’inizio. L’incostituzionalità dell’intervento da un lato, a causa dell’esautorazione delle strutture di polizia espressione dello stato democraticamente eletto, e la poca trasparenza sull’utilizzo del miliardo e 200 milioni stanziati dall’altro, sono le principali critiche mosse all’intervento militare. Ma è sull’arbitrarietà dell’azione e le violazioni dei diritti umani dei cittadini delle favelas che si è concentrata l’azione di numerose Ong: Human rights watch, Amnesty International, Justiça global e Conectas direitos humanos. Vista la strutturale inadeguatezza dell’esercito nello svolgere funzioni di polizia e di investigazione, l’intervento ha finito solo per alimentare la spirale di violenza, a discapito purtroppo dei cittadini inermi e stretti nel fuoco incrociato di esercito e trafficanti. Per questo le organizzazioni hanno invocato l’intervento delle Nazioni unite e della Commissione interamericana dei diritti umani. Il tutto mentre, nonostante la ferma opposizione dello stesso generale Braga Netto che lo giudica ‘non necessario’, il governo pensa di rinnovare l’intervento militare anche per il prossimo anno.

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