Risentimento è parola di moda e oggi è diventata – non senza forzature – un concetto chiave del dibattito giornalistico. Ezio Mauro su la Repubblica del 31 luglio parla, in modo manicheo, di “cultura del risentimento” individuandola nel governo gialloverde, anti-establishment, di destra e populista: “Quando non c’è una cultura di riferimento – dice – prevale la natura, il carattere, l’essenza delle persone”.

Pensavamo si riferisse a Matteo Renzi, che ha disprezzato la cultura di sinistra, facendo prevalere la natura e l’essenza della sua personalità egolatrica. Invece no. Parlava dei grillini. Il male contro il bene: nei testi di Mauro c’è sempre una dicotomia, nella metà campo di Repubblica sta il bene nell’altra il male che va ostracizzato: “il risentimento è il movente unico (…) il mandato stesso del populismo, quindi la sua stessa politica”. Giudizio senza appello.

Brillano però le dimenticanze: il risentimento dei renziani che hanno detto “no” all’alleanza coi 5 stelle, degli operai scappati dal Pd, d’intere periferie urbane che hanno abbandonato la sinistra salottiera e radical chic. Eccetera. Insomma, se il gioco è indicare il risentimento come causa delle scelte politiche l’elenco è più lungo di quello apparso nell’articolo di Mauro.

Soprattutto, va distinto il risentimento giusto della società civile che s’è vista cacciare dalla Rai Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, dall’ipocrisia di quanti (Pd, FI), dopo infinite lottizzazioni, fanno le anime belle e presentano il M5s come l’incarnazione del male, anche quando eredita responsabilità non proprie e regole, norme, leggi partorite da altri. Intendiamoci, è vero che il governo gialloverde avrebbe potuto/potrebbe gestire meglio l’intricata vicenda delle nomine Rai, ma l’errore – come si diceva un tempo – è a monte: se hai come editore i partiti non puoi fare una tv indipendente; questo è il nodo da sciogliere – con una riforma – se si vuole affrontare davvero il tema Rai. Il resto è pura chiacchiera, in cui il sentimento di appartenenza (a un giornale, a un’area politica) va alla ricerca dei risentimenti altrui. Occultando i propri.

Urge una maggiore obiettività. La presa d’atto che nel Paese non c’è una dittatura, che nessuno viola la libertà dei cittadini, che molti ministri sono colti e preparati, che il premier ha alti consensi, che – nonostante le sparate di Matteo Salvini – Luigi Di Maio ha in cantiere e sta facendo più cose di sinistra del bullo di Rignano. Insomma, giudichiamo il governo dagli atti, senza dogmatismi e posizioni aprioristiche.

Ho grande stima per Alberto Asor Rosa, ma se scrive (la Repubblica, 3 agosto) che per i 5 stelle “lotta di resistenza al fascismo e al nazismo, nascita altamente conflittuale della Repubblica, “invenzione” della Costituzione repubblicana (…) non significano più nulla”, dissento. La fedeltà alla Costituzione è nel dna del Movimento, negarlo è una forzatura che le idee e la campagna grillina nel referendum Costituzionale smentiscono. Lo ricordava Marco Travaglio citando Indro Montanelli: chi “non ha idee, (ma) ha solo interessi” è B. col quale la Repubblica, da tempo, s’è ammorbidita.

Ezio Mauro e Asor Rosa, con stili diversi, demonizzano un avversario (i 5 stelle) col quale l’intellighenzia di sinistra dovrebbe dialogare. Lo ha fatto di recente Michele Serra riconoscendo nei grillini una pulsione antifascista: “Lo stop di Conte e Di Maio alla richiesta di abolire la legge contro l’odio razziale è importante. Bisogna registrarlo con soddisfazione e incassarlo con speranza” (la Repubblica, 6 agosto). Ho talvolta criticato l’Amaca, apprezzo oggi l’onestà intellettuale di Serra.

La speranza è che la sinistra si confronti coi 5 stelle, appoggiando in Parlamento i temi che rientrano nella propria tradizione: è un modo per isolare Salvini e riprendere la strada della politica; ciò che non s’è realizzato oggi – col Pd ostaggio di Renzi – sarà possibile domani con una sinistra rinnovata e un percorso parlamentare non privo d’importanti convergenze. E’ una strada lunga, ma il primo passo, con tutta evidenza, è smetterla di definire fascista il M5s.

La Repubblica tradita

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