C’è da preoccuparsi per quanto sta accadendo sulle nomine dei vertici Rai, si ripete in peggio quanto finora accaduto in ogni cambio di maggioranza. Anche in questo caso è colpa dei predecessori; anche in questo caso ci si giustifica col fatto che prima si faceva la stessa cosa?

La Rai è un’impresa e un servizio pubblico. Due entità in un unico soggetto. Ecco perché guidare la Rai è estremamente più complicato che amministrare una normale azienda, come dimostra il fatto che solo pochi presidenti (e/o direttori generali) hanno saputo ergersi dalla mediocrità.

La Rai è un’impresa che opera nel mercato, in concorrenza con altri operatori privati. Vi sono però delle differenze. Innanzitutto la sua fonte primaria di finanziamento non proviene dal mercato ma da una tassa, il canone di abbonamento. Ricavo che prescinde dalla sua attività, sia per quanto riguarda l’audience e sia per la qualità della programmazione. Questo è un indubbio vantaggio rispetto ai concorrenti privati. In compenso ha degli indici di affollamento pubblicitario più bassi rispetto alle Tv commerciali e questo determina un ricavo inferiore (pari a circa due terzi in meno) rispetto ai ricavi che una Tv commerciale raggiungerebbe con gli stessi ascolti. Una seconda differenza è data dal fatto che la Rai, posseduta dalla Stato, non è obbligata a dare un dividendo ai suoi azionisti, ad essa si richiede di avere una gestione equilibrata. Nel contempo la sua natura pubblica le evita di operare come qualsiasi altra impresa privata, per esempio nell’attingere fonti di finanziamento di natura finanziaria ed avere una celerità decisionale pari ai concorrenti, dovendo sottostare a innumerevoli controlli, dalla Corte dei Conti al Ministero dell’economia (la procedura per gli appalti è simile a quella della pubblica amministrazione). Nel contempo svolge diversi compiti “fuori mercato”, come per esempio l’informazione regionale.

Per il resto è un’impresa come le altre. Ogni mattina alle 10, anche negli uffici di viale Mazzini si studiano i dati di ascolto del giorno precedente che arrivano dall’Auditel.

La Rai è un servizio pubblico. Non esiste una definizione condivisa di tale entità. Chi vede nella ‘qualità’ dei programmi l’indicatore che la qualificherebbe, viene contestato in quanto tale valore è considerato espressione di un giudizio soggettivo. Chi sostiene che dovrebbe promuovere la cultura, è criticato per la convinzione che la Tv pubblica deve rivolgersi ad una platea la più ampia possibile. Il servizio pubblico dovrebbe porsi con ‘rispetto’ nei confronti di tutti e soprattutto delle categorie sociali più deboli; considerare le diversità, di genere, di età, di background professionale, di nazionalità, una fonte di arricchimento per tutti. Il servizio pubblico dovrebbe farsi portatore di quei valori che fanno parte del nostro patrimonio, come la negazione della violenza (anche verbale) e il rispetto del nostro ambiente. Il servizio pubblico dovrebbe promuovere i “buoni sentimenti” così da favorire la convivenza e la coesione sociale. Dovrebbe rappresentare tutte le opinioni. Dovrebbe divertire e promuovere le conoscenze con un linguaggio comprensibile a tutti.

Il declino della Rai è iniziato quando l’attesa degli ascolti divenne così spasmodica da far dimenticare la propria natura, quando il palinsesto incominciò a essere steso dai pubblicitari.

Il declino della Rai è iniziato allorquando è diventata preda dei partiti politici, idea malsana accettata nei fatti da tutti i partiti, anche se negata nei comizi.

Le due entità, impresa e servizio pubblico, dovrebbero viaggiare all’unisono; l’equilibrio del bilancio dovrebbe convivere con la qualità della programmazione. Oltretutto il mercato della Tv è (vedi grafici) in contrazione ed è proprio la Rai a subirne le maggiori conseguenze. Sarà inevitabile un piano industriale che elimini le attività inutili, riduca la scarsa produttività, riproponga la centralità dei programmi e favorisca un innesto attivo nel mondo del web.

Chi arriva al settimo piano della Rai, il presidente e l’amministratore delegato, dovrebbe avere queste due competenze, essere manager e persona che conosca il valore della cultura “alta”.

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