Questo che sto scrivendo è un post da uomo della strada. Lo ammetto di non avere le competenze per approfondire questa problematica. Mi limito a osservare. C’è un elemento che accomuna il Bosco verticale di Milano e la pasta di Kamut: sono molto cari.

Un appartamento nel Bosco verticale dell’archistar nostrano Stefano Boeri – fratello del presidente dell’Inps, Tito – arrivava a costare (sono andati a ruba) 15mila euro al metro quadro. Le spese condominiali medie si aggirano sui 1500 euro al mese. Decisamente più abbordabile – si fa per dire – un alloggio nel 25 Verde di Torino dell’architetto Luciano Pia. Qui siamo su “appena” 5mila euro al mq.

La pasta di Kamut mediamente costa tre/quattro volte tanto la pasta trafilata al bronzo che adesso va di moda. Mi si dirà sì vabbé ma lì paghi il marchio registrato. Vero, ma se compro la pasta di Khorasan, che non è un marchio registrato, la pago uguale magari solo un po’ meno. Adesso giustamente vengono recuperati grani antichi, come la varietà Senatore Cappelli o quella Gentil Rosso. Ben venga, ma il discorso non cambia: sempre cari sono i prodotti. Eppure farebbe tanto bene mangiare questa pasta anziché quella della grande distribuzione, che pare assodato che contribuisca quanto meno all’aumento della celiachia. Farebbe anche bene abitare in città in un appartamento con tanto bel verde attorno.

In genere tutto ciò che è bio, tutto ciò che è sano non è certamente alla portata di tutti. A Torino quel furbacchione di Oscar Farinetti vendette Unieuro per creare il primo supermercato del mangiare bene, Eataly, che è oramai una consolidata multinazionale del cibo. Io ogni tanto vado a comprare da Eataly, solo perché lì trovo certi prodotti, anche umili, che non trovo altrove. E ogni volta mi stupisco quando alle casse vedo i carrelli pieni e le spese fatte solo con le carte di credito.

Il discorso non è molto diverso se vogliamo acquistare i prodotti del commercio equo e solidale. Bio o non bio, pur non essendoci intermediari (almeno credo), i prodotti Fairtrade costano decisamente di più dei prodotti che gli intermediari li hanno. Così come costano decisamente di più le marmellate che non hanno lo zucchero aggiunto di quelle che lo hanno. Mistero.

Forse questo articolo l’avrebbe dovuto scrivere Diego Fusaro, mio collega blogger oltre che filosofo: lui avrebbe individuato nel capitalismo e nel libero mercato la causa di questo fenomeno. Io mi limito a osservare che tutto ciò che è verde/bio in senso lato nella nostra società è fortemente esclusivo e non inclusivo. Mantenersi sani e in salute costa molto e, considerato il trend, saranno sempre meno le persone che se lo potranno permettere se continua questa economia.

Torniamo al Bosco verticale. Io conobbi Stefano Boeri anni fa. Pranzai con lui quando ci fu la nascita di Salviamo il paesaggio a Cassinetta di Lugagnano. Lo stimo per le intuizioni che ha. Il bosco verticale è una bella invenzione, anche se, a dirla tutta, dove l’ha realizzato prima c’era un piccolo bosco in città. E comunque, chi ci abita? Rapper, dj, calciatori. Fosse abitato da poveri e immigrati all’interno di un programma di edilizia economico popolare, beh, diciamo che avrei preferito. Quella sì che sarebbe una bella, piccola rivoluzione.

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