Quattro bilanci di fila in passivo e la gara per la cessione delle quote andata deserta. E’ pronto a calare il sipario anche su Lazio Ambiente Spa, l’azienda della Regione Lazio proprietaria del termovalorizzatore di Colleferro e la vicina discarica di Colle Fagiolara, sancendo definitivamente l’addio alla strategia degli “inceneritori pubblici”. La società gestisce direttamente una delle due linee di incenerimento e l’altra attraverso la Ep Sistemi, azienda partecipata al 60% proprio da Lazio Ambiente e al 40% dalla municipalizzata del Comune di Roma, Ama Spa.

Nel 2017, la Regione Lazio e l’Ama hanno ricapitalizzato l’azienda con complessivi 15,2 milioni di euro per procedere, fra le altre cose, alla rimessa a nuovo degli inceneritori attraverso un’operazione di “revamping”. La rigenerazione degli impianti, però, non è mai avvenuta – anche per le veementi proteste dei territori – situazione cui è seguita la decisione di cedere ai privati una delle due linee di incenerimento, anche questa non andata a buon fine. Lazio Ambiente, che ora rischia seriamente la liquidazione, era nata nel 2011 per raccogliere i cocci del Consorzio Gaia, fallito malamente pochi mesi prima con oltre 200 milioni di danni calcolati per le casse pubbliche.

I CONTI IN ROSSO – In cinque anni di attività, solo nel 2013 l’azienda è riuscita a tenere i conti in pari, andando progressivamente in perdita per gli esercizi successivi (3,5 milioni nel 2014, 13,9 milioni nel 2015 e 6,5 milioni nel 2016 e nel 2017), arrivando anche a collezionare oltre 34 milioni di euro di debiti, tutto ciò nonostante si sia provveduto nel tempo a ridurre i costi e limitare le attività non redditizie. A cominciare proprio dall’attività di incenerimento dei rifiuti, che per via di uno stato di usura insostenibile degli impianti è passata dai 18 giorni di inattività in 4 mesi del 2013 ai 150 giorni di fermo del 2015, fino alla chiusura messa a fine 2016, quando i costi di manutenzione non sono stati più sostenibili. Con il termovalorizzatore fermo e i minori ricavi registrati dalla discarica, Lazio Ambiente è rimasta a gestire pochi servizi di raccolta rifiuti nei piccoli comuni della Valle del Sacco, attività ben poco redditizia.

“Mentre il livello dei ricavi è praticamente ridotto del 50% rispetto al 2016 – si legge nella relazione dell’amministratore unico – l’importo relativo ai costi del personale rimane eccessivamente elevato e rappresenta quindi, a parere dell’organo amministrativo, l’aspetto di maggior criticità”, anche perché “la società ha potuto conseguire solo i ricavi del ramo servizi continuando a sostenere rilevanti costi per gli asset discarica e tmv”. Tradotto: la società ha dipendenti (dirigenti compresi) per smaltire centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ma si è dovuta accontentare dello spazzamento in alcuni paesi di provincia, peraltro non tutti puntuali con i pagamenti.

CESSIONE DELLE QUOTE: GARA DESERTA – Fra la fine del 2016 e i primi mesi del 2017 la giunta regionale ha deciso di insistere con la strategia dell’incenerimento attraverso la rigenerazione degli impianti. Dopo la ricapitalizzazione, nell’estate 2017 Lazio Ambiente ha avviato la cessione delle quote di Ep Sistemi, congiuntamente ad Ama che ha dato il proprio ok nel febbraio 2017. L’ultimo bando di gara, su base d’asta di circa 30 milioni di euro e scaduto il 13 luglio, è però andato deserto, determinando il fallimento di tutta l’operazione.

“L’impianto non è più appetibile per il privato – sussurrano negli uffici della Regione Lazio – Un soggetto esterno, per partecipare a una gara del genere dovrebbe avere assicurati almeno 15 anni di lavoro. E questo non è evidentemente compatibile con i piani messi in campo in primis dal Comune di Roma, che si è posto come obiettivo il 70% di differenziata al 2021”. Nella loro relazione, i vertici di Lazio Ambiente continuano a ipotizzare, alla voce “evoluzione prevedibile della gestione”, fattori come “realizzazione degli interventi di revamping sulla linea di termovalorizzazione” e “adeguamento della tariffa di accesso in discarica”, impianto quest’ultimo la cui autorizzazione scadrà pero il 31 dicembre 2019. E proprio il Comune di Roma ha indicato la “fabbrica di materiali” o “impianto a recupero di materia (Remat) come soluzione per una possibile riconversione, di cui tuttavia al momento non c’e’ traccia programmatica.

LA SCATOLA VUOTA – Fatto sta che al momento la società regionale sia avvia a diventare “una scatola vuota”: senza inceneritore, con una discarica in esaurimento e con pochi servizi in alcuni comuni. E non è un caso che nella delibera regionale del 10 luglio, sia stato ricordato il decreto legislativo 175/2016 che vieta “aumenti di capitale a favore delle società partecipate che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio”. Specie, come scrive il collegio dei revisori nella sua relazione allegata al bilancio 2017, vista “l’esistenza di una incertezza significativa riguardo a eventi o circostanze che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità della società di continuare ad operare come un’entità in funzionamento”.

E se Lazio Ambiente sarà liquidata è probabile che l’inceneritore non tornerà mai in funzione, per la gioia dei comitati locali che ora esultano e chiedono che sul territorio non vengano più realizzate “altre fonti di inquinamento”, oltre alla bonifica dell’area sottostante gli impianti con contaminazione da cromo esavalente, da tempo inserita nel Sito di interesse nazionale “Bacino del fiume Sacco”.

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