Abbiamo passato gli ultimi 15 anni con poche convinzioni. Una, però, era granitica: Il Giornale del fu Indro Montanelli – in mano alternativamente al duo Belpietro-Feltri – lasciava poco spazio alla informazione. Al contrario, asservito al patron Silvio Berlusconi, si era attirato tutte le ire del resto della stampa per operazioni, in seguito, definite di killeraggio mediatico. Uno strumento politico ben congeniato, a uso e consumo di una parte in battaglia.

Fosse Massimo D’Alema o Gianfranco Fini, il giudice dai calzini celesti o Michele Santoro, puntato il mirino lì si mitragliava di parole, di gossip, di balle fino a quando la bava alla bocca dei lettori non si fosse esaurita. A quel punto si riponeva il redattore nel cassetto pronti a tirarlo fuori non appena un nuovo obiettivo fosse stato individuato. Tra uno scoop e l’altro, la vita di quel foglio pareva serena e felice. Anche oggi lo scopo che teneva in vita il giornale, sarebbe stato raggiunto colpendo qualcuno.

Intendiamoci, la guerra per bande del circuito mass mediatico coinvolge un poco tutti. Non è prerogativa del solo Il Giornale, anche se (all’unanimità) i capo cannonieri per molti anni provenivano da quel vivaio. Se al posto del Pallone d’oro, fosse stato istituito il premio “La balla d’0ro”, quel giornale per qualche lustro nella cinquina finalista, avrebbe avuto sempre una rappresentanza se non il vincitore.

Bene, di prese di distanza o distinguo da parte di Marcello Foa, gli annali non ne riportano. Quasi condividesse con i propri direttori ogni scelta editoriale, ogni obiettivo colpito, ogni scalpo elevato al cielo. Una modalità di raccontare la realtà che, indifferente ai fatti, trasformava le opinioni, e spesso le balle, in verità. Notare che il giornalista non era un figura marginale all’interno di quel quotidiano avendo fatto interamente la propria carriera lì e non altrove. Il suo distacco dal quotidiano berlusconiano è del 2011, in concomitanza con la progressiva marginalizzazione dell’editore dalla vita politica.

Tutto questo per dire che l’avere individuato in Foa un possibile garante della Rai pare più uno scherzo da burloni che non una decisione presa dopo attenta e ponderata valutazione. Che poi la pensi in modo simile a Tizio o a Caio e non a Pinco o Pallino, è di scarsa rilevanza. La Rai sarà sottratta alla politica solamente nel momento in cui navigherà in acque private, fuori dall’influenza dei governi di turno. E non è nemmeno sicuro, considerato l’invischiamento tra politica e impresa che ha sempre connotato questo Paese. Ed è altrettanto certo che è ben poca cosa, in termini di consolazione, ricordare che così hanno sempre fatto i governi precedenti, per la semplice ragione che perpetuare nell’errore. Vi risparmio il detto latino, lascia a bocca asciutta senza alcuna soddisfazione.

Dimenticata la lunga militanza ne Il Giornale, di Foa si racconta che è un intellettuale d’area. Bellissima definizione per salvaguardare l’indipendenza di un individuo anche quando questa indipendenza non si è mai espressa in prese di distanza o memorabili articoli di rottura con il proprio editore o la parte politica che rappresenta. Intellettuale di area omogenea e monolitica, sarebbe più preciso, volendoci scherzare sopra.

Bei tempi quando invece di “intellettuale d’area”, per imprimere un marchio di fabbrica si utilizzava il termine “organico“: intellettuale organico al Pci indicava, senza fronzoli, l’appartenenza a un mondo e a un modo di vedere le cose. Non c’erano ambiguità, voli pindarici, fantasie possibili. Una persona organica a qualche cosa era vissuto come quella determinata cosa. In lei si immedesimava lasciando poco spazio alle interpretazioni.

Gli escamotage verbali e terminologici, in uso oggi, permettono di giocare a rappresentare una realtà diversa da quella precedente anche quando la diversità, per contenuti e condivisione di progetti e obiettivi, non esiste. Pura propaganda, si diceva un tempo, tesa a rappresentare una realtà opposta a quella effettivamente esistente. In pratica, la Rai è ancora lottizzata, comandata, gestita, diretta dalla politica. Il cambiamento, come il paradiso, può attendere.

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