Alle 23.15 del 27 luglio del 1993 un boato scosse Milano. In via Palestro un’autobomba esplose nei pressi del Padiglione d’Arte Contemporanea, uccidendo cinque persone. “Sono passati 25 anni, ma la memoria è ancora molto viva” ha detto il sindaco Giuseppe Sala durante la cerimonia di commemorazione delle vittime della strage. A quell’epoca più arrogante che mai, Cosa Nostra lanciò in una sola notte il suo monito allo Stato con cinque morti, centinaia di chili di tritolo e un atto di terrore nella città simbolo del potere economico. Ma Milano “ricorda anche con estrema ostinazione che la vicenda processuale è ancora molto lontana da una conclusione – ha aggiunto Sala – che sia almeno accettabile. Grazie ai collaboratori di giustizia sono stati individuati gli esecutori materiali e i fiancheggiatori, ma sono ancora ignoti gli ispiratori. È inaccettabile che dopo 25 non ci sia piena luce, una sconfitta per una Milano”.

“Accanto alla memoria dobbiamo continuare con l’impegno milanese nella lotta alla mafia – ha detto ancora il Sindaco – Si tratta di una lotta complessa che richiede un afflato civile forte e una passione vera. Anche oggi noi siamo qui per ribadire che a Milano la mafia ci prova ma non ce la fa, perché è il contrario della mafia”. Dopo la commemorazione e la deposizione delle corone si è tenuto un convegno sulle stragi mafiose nella sede del Pac a cui ha preso parte anche il magistrato del pool antimafia di Palermo Francesco Del Bene. “Ho lavorato per 20 anni a Palermo. Il nostro dovere come magistrati è quello di individuare le responsabilità penali ma è inaccettabile che oggi non sappiamo con certezza chi ha voluto queste stragi – ha sottolineato -. Nel ’93 la mafia decise di colpire le città simbolo d’Italia, Firenze, Roma, Milano perché voleva mandare un messaggio allo Stato”. “È evidente che qualcuno ad alto livello ha ispirato Cosa Nostra – ha concluso – che è stato il braccio armato di apparati che noi dobbiamo cercare di individuare”.

Prima di quel 27 luglio, l’Italia era già stata imbottita di tritolo e terrore: il 14 maggio un’autobomba diretta a colpire Maurizio Costanzo era scoppiata in via Fauro a Roma, il 22 maggio un’altra simile deflagrazione a Firenze in via dei Georgofili vicino agli Uffizi aveva ucciso cinque persone e il 2 giugno, davanti a Palazzo Chigi, era stata trovata una Fiat 500 imbottita di esplosivo. Era l’anno del governo Ciampi, della dissoluzione della Dc, Mani Pulite e soprattutto delle bombe ai luoghi d’arte, che seguiva quello delle stragi di Capaci e via D’Amelio del ’92. E a Milano la notte del 27 luglio 1993 stava terminando una settimana difficile, dopo il suicidio del presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, e poi dell’imprenditore Raul Gardini.

A via Palestro l’auto carica di tnt andò in pezzi alle 23.15 e il boato fu sentito in tutta la città. Nascosto nella Fiat Uno parcheggiata davanti al Padiglione di Arte Contemporanea c’era tanto di quel tritolo che il motore della macchina fu trovato quasi a 300 metri. Intorno a quell’auto c’erano un vigile urbano, Alessandro Ferrari, tre vigili del fuoco, Carlo La Catena, Stefano Picerno e Sergio Pasotto, avvertiti poco prima da una telefonata anonima che aveva segnalato “del fumo uscire da una Fiat Uno parcheggiata in via Palestro”, e Moussafir Driss, un marocchino che stava dormendo su una panchina dei giardini pubblici: nel momento stesso in cui il vigile urbano Alessandro Ferrari, 29 anni, cercò di aprire la portiera di quell’auto grigia, tutti e cinque furono investiti in pieno dalla scoppio.

Mezzora dopo toccò a Roma, che fu svegliata nella notte dalle esplosioni di altre due Fiat Uno, anch’esse cariche di pentrite e T4. Le macchine, rubate, erano state piazzate in pieno centro: una davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, tre minuti dopo la mezzanotte, l’altra a San Giorgio al Velabro, a pochi metri dal Campidoglio e dai Fori Imperiali, a distanza di quattro minuti dall’altra. Per fortuna nessuno morì, ma ci furono 22 feriti e gravi danni alle chiese. In entrambe le città uno dei protagonisti dell’operazione di terrore fu Gaspare Spatuzza, che dopo anni decise di collaborare con la giustizia. L’obiettivo “erano i monumenti, non le vite umane. Quello che avvenne erano conseguenze non cercate“, disse poi Spatuzza in tribunale vent’anni dopo coinvolgendo Filippo Marcello Tutino, che secondo le sue dichiarazioni avrebbe avuto il ruolo di basista in via Palestro. Ma questo non è mai stato provato: solo qualche giorno fa la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Assise in Appello, assolvendo Tutino definitivamente. Le accuse però non sono cadute per i fratelli Formoso e i Graviano, oltre alle condanne per Riina, il super latitante Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella fino allo stesso Spatuzza.

“Oggi come allora – ha detto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – il ricordo di quella terribile notte ci conferma che non si può mai abbassare la guardia nella lotta a qualunque forma di criminalità. Un compito che chi rappresenta le istituzioni ha il dovere di far diventare centrale nella propria azione di governo”. La commemorazione continuerà in serata, a partire dalle ore 21, con letture, musiche e testimonianze di persone che quella notte rimasero ferite e con gli interventi del vicesindaco Anna Scavuzzo e del presidente della Commissione consiliare Antimafia David Gentili. Alle ore 23.15 il suono della sirena inviterà tutti i presenti a un momento di raccoglimento, nell’attimo esatto in cui l’auto imbottita di tritolo esplose esattamente davanti al Pac. Per tutta la giornata, fino alle 24, sarà possibile visitare il Pac con ingresso gratuito.

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