“Il 21 gennaio 1983, a soli 27 anni, il calciatore Enzo Scaini muore misteriosamente nella clinica Villa Bianca di Roma, circa un’ora dopo essere stato sottoposto a un intervento al ginocchio”. Quella che potrebbe sembrare la trama di un labirintico giallo è in realtà l’inizio di una storia in cui la vita si tinge di paradosso e tragedia. Dietro ai baffi di Poirot, infatti, questa volta non si celano i pensieri di Agatha Christie, ma le penne di due giornalisti: Giampiero De Andreis ed Emanuele Gatto. Non ero Paolo Rossi (Ed. Eraclea) è merito loro.

Antefatto – 14 aprile 2012, è un sabato anonimo di primavera. Allo Stadio Adriatico di Pescara il Livorno del presidente Aldo Spinelli affronta i padroni di casa del maestro Zdeněk Zeman nell’incontro valido per la 35esima giornata del campionato di Serie B quando, attorno alla mezz’ora di gioco, il centrocampista labronico Piermario Morosini si accascia a terra, senza più rialzarsi. Il mondo del calcio è sconvolto e si stringe attorno alla famiglia, preda di un dolore simile a quello rievocato pochi mesi fa dalla scomparsa di Davide Astori, capitano della Fiorentina. Sul web cominciano a rimbalzare messaggi di rabbia e cordoglio. Uno fra tutti rapisce l’attenzione dei nostri autori. Porta la firma di Rossella Biancini, vedova Scaini, e racconta una storia strana, quella di un’altra “morte bianca”. Incuriositi, De Andreis e Gatto decidono di contattare la donna per approfondire il caso.

Com’è potuto succedere? – Nella stagione 1982/1983, “Scaio” veste la maglia del Lanerossi Vicenza, ambiziosa formazione impegnata nel campionato di C1. Centrocampista educato e dotato di una straordinaria forza fisica, Enzo sogna la Serie A e ha già alle spalle una solida carriera spesa tra il purgatorio della B e i gironi infernali della D. Oltre a un destino beffardo che pare sempre abbandonarlo a pochi passi dalla consacrazione, tuttavia, da un paio di anni anche gli infortuni hanno iniziato a tormentarlo e quando, nel gennaio dell’’83, il legamento crociato si stanca di sostenere i suoi 190cm per 85kg non resta altro da fare che rivolgersi ai medici e procedere con l’operazione.

In quegli anni Villa Bianca è un polo di assoluta eccellenza, ospita i migliori specialisti del settore e persino campioni come Gigi Riva, Carlo Ancelotti e Agostino Di Bartolomei vi si sono rivolti per ricomporre i cocci delle proprie articolazioni. Scaini è sereno, conosce i dottori, l’intervento è in anestesia totale. La moglie lo aspetta in stanza, ha con sé delle caramelle e dei ferri da maglia. Qualcosa però va storto. Scaini muore e lascia sola Rossella, con due figli da crescere, un processo da affrontare e un’ossessione che le si attorciglia in bocca: com’è potuto succedere?

Non per vendetta, ma per verità – Nessun colpevole, tutti gli imputati assolti. Questo il verdetto di una vicenda giudiziaria che, tuttavia, non riesce a trovare una risposta all’assurdità della scomparsa di un atleta apparentemente in perfetta salute (legamenti esclusi) e sul cui decesso più di un’ombra sembra potersi allungare. Analizzando le carte del processo a oltre 30 anni di distanza, infatti, De Andreis e Gatto evidenziano le incongruenze e le lacune di indagini condotte con una certa superficialità, in cui “troppi elementi non filavano come avrebbero dovuto”.

Affidandosi a una prosa piana e dosata, che di rado si concede al guizzo romanzesco, Non ero Paolo Rossi – il cui titolo fa riferimento alla risposta data dal presidente dell’Associazione italiana calciatori, Sergio Campana, a Rossella che chiedeva il motivo per cui l’interesse dei media attorno alla vicenda si fosse estinto così rapidamente – ripercorre, traduce e riassume le complesse dinamiche giudiziarie di una vicenda i cui contorni appaiono sin da subito incerti, tanto al lettore quanto ai suoi narratori. I due giornalisti organizzano così una vera e propria inchiesta – confrontando testimonianze, arringhe e perizie medico-legali -, rifuggendo però qualsiasi intento persecutorio e procedendo in nome della verità e del ricordo.

Sogni e ritratti – Facendo ampio uso del flashback e affidandosi a una divisione “tematica” dei capitoli, infatti, i due autori tracciano il ritratto di un ragazzo semplice e di un mondo ormai dimenticato. Attraverso le testimonianze di parenti, amici e compagni di squadra ecco dunque riaffiorare i lineamenti dolci di un gigante buono, innamorato della vita e della sua famiglia, nato nella campagna friulana e cresciuto con la valigia in mano, girovagando per uno Stivale fatto di province e pallone.

Un calcio popolato da figli di un dio minore, che stavano bene, certo, ma che ancora si potevano confondere con i loro tifosi. Un’Italia modesta, dedita all’agricoltura e al commercio, dove i contratti si stipulavano con una stretta di mano e senza alcun procuratore, ma anche un Paese in cui i giocatori erano in balia delle società di appartenenza. Mentre gli spari degli Anni di piombo facevano da sfondo e qualcuno là, sul campo, si affannava rincorrendo un sogno chiamato Serie A.

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