“Tutti i bambini sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. Si potrebbe riassumere così, parafrasando George Orwell, l’atteggiamento di media e popolazione nei confronti di certi eventi. La, fortunatamente finita bene, vicenda dei giovani calciatori thailandesi intrappolati in una grotta a causa delle troppe piogge, ha giustamente catalizzato l’attenzione del mondo intero. Da molti paesi sono arrivati tecnici, attrezzature, consulenze per salvare le vite di quei giovani, c’è stata una encomiabile corsa alla solidarietà, accompagnata da una copertura mediatica formidabile, che ha tenuto mezzo mondo in apprensione nel seguire il lavoro dei soccorritori, fino alla felice conclusione e al salvataggio di tutti i protagonisti.

Negli stessi giorni altri bambini rischiavano la vita, anch’essi a causa dell’acqua. Salata questa e increspata dai venti, quell’acqua del Mediterraneo che spesso sbarra il passo ai barconi di chi tenta di venire in Europa. Alcuni di quei bambini, insieme ai loro genitori hanno perso la vita, per abbandono e indifferenza. Nessun esercito di telecamere a documentare queste tragedie, nessun aiuto di paesi vicini o lontani. Al contrario, notizie esaurite in poche righe, in una frase ai telegiornali, con qualche foto più o meno generica di migranti ammassati su un barcone. Nessun aiuto, ma soprattutto un progressivo disimpegno di gran parte dei Paesi europei, impegnati a guardare da un’altra parte, a erigere muri, a srotolare filo spinato.

Mentre attorno alla grotta si è formato un sentimento comune di apprensione e solidarietà, di partecipazione e di vicinanza, rispetto alle tragedie del mare nostrum silenzio, indifferenza se non odio. I media spesso seguono la politica dominante e senza dubbio contribuiscono a creare la nostra percezione, ma davvero siamo così dipendenti dall’informazione mainstream? Davvero non siamo in grado di riflettere su ciò che accade, formarci un’opinione nostra a provare un minimo di empatia nei confronti di quei bambini e adulti che muoiono a due passi da casa nostra? In entrambi i casi siamo tristemente colpevoli.

Ad attendere i sopravvissuti della grotta thailandese c’erano addetti con coperte, cibo, bevande, medicinali, autoambulanze per portarli al più presto a sottoporsi a controlli medici. Ad attendere alcuni dei migranti salvati dalle navi delle Ong, in Italia, c’erano dei divieti di attraccare, c’era un muro di odio e di disprezzo. Il ghigno sprezzante del ministro dell’Interno, che ha persino avuto la faccia tosta di negare che le immagini mostrate dall’equipaggio di una Ong fossero vere. «Fake news» le ha definite, con il solito disprezzo, senza peraltro fornire prova alcuna delle sue parole.
Va però riconosciuta a Matteo Salvini una profonda coerenza: non si fida delle informazioni fornite dalle Ong, come non si fida dell’Europa. In compenso si fida dei paesi del gruppo di Visegrad, della Libia, i cui porti ritiene sicuri e qualche giorno fa ha anche dichiarato, a proposito del caso Regeni, che ha piena fiducia in Al-Sisi.

P.S. Prima gli italiani è stato lo slogan leghista. Giulio Regeni era italiano. Forse nella stampa dei manifesti elettorali in tipografia, per errore, è stata cancellata una parola che stava tra prima di “italiani”: interessi.

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