Nel cuore di Marzahn Nord, quartiere popolare della periferia nord-est di Berlino, tra i palazzi della Repubblica Democratica Tedesca, un edificio grigio e spigoloso, con un campetto da basket al centro, ospita circa 70 rifugiati tra siriani, afghani e iracheni. È una delle nuove costruzioni, tutte uguali nei colori e nella forma, fiorite nella capitale tedesca negli ultimi anni. Dislocate nei diversi quartieri, si riconoscono grazie alle recinzioni e al servizio di portineria all’entrata.

Qui vive Zakaria, rifugiato di origine siriana, arrivato nel 2015 dalla Turchia, dove ha deciso di intraprendere il cammino verso la terra promessa tedesca insieme al fratello maggiore. “Sono arrivato in Germania il 16 luglio 2015, siamo passati attraverso un campo profughi in Grecia, sull’isola di Kyos, per poi attraversare la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria e finalmente raggiungere Berlino. Il viaggio è durato 18 giorni”. Appena oltrepassato il confine ha richiesto lo status di rifugiato insieme a suo fratello, ma “essendo arrivati nel periodo più critico per l’emergenza migranti in Germania non abbiamo ricevuto un posto in un campo profughi. Lo stato tedesco ci dava la possibilità di spendere 50 euro a notte a testa in una struttura, ostello o albergo, in quanto i campi erano tutti pieni”. Alla garanzia di un alloggio si aggiungevano i costi per il cibo, l’assistenza, i corsi di lingua e i cosiddetti “pocket-money”, 135 euro mensili da poter spendere liberamente. Servizi che lo stato tedesco continua a garantire a tutti i richiedenti asilo, anche dopo la situazione eccezionale dovuto al grande flusso migratorio del 2015.

Zakaria ha ottenuto il diritto di asilo dopo un anno e 6 mesi dal suo arrivo sul suolo tedesco. “Abbiamo atteso a lungo per vedere riconosciuto il nostro status di rifugiati perché siamo nati ad Aleppo, ma originari della Palestina. Quindi inizialmente non avevamo diritto ad entrare nei corsi di integrazione e alla residenza“. In questo periodo, dopo aver beneficiato di un totale di 50 euro quotidiani per l’alloggio, Zakaria è stato trasferito in un hangar di Tempelhof, aeroporto ormai in disuso, dove viveva insieme ad altri 3mila richiedenti asilo. Qui aveva diritto oltre ai 135 euro mensili, che nel caso in cui si viva nel proprio appartamento diventano 216 euro, a tre pasti al giorno e assicurazione sanitaria.

Il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini ha dichiarato che la Germania spende meno dell’Italia in accoglienza. Ma è piuttosto difficile fare un calcolo sulla spesa pro capite al giorno per un rifugiato, innanzitutto perché le istituzioni tedesche tendono a calcolare le spese aggregandole su base annua, inoltre perché in uno stato federale ogni Land ha spese differenti basate sui contratti stipulati con i privati, ed infine perché le istituzioni tedesche sono piuttosto reticenti a pubblicare i dati della spesa disaggregati. In particolare, le differenze di spesa per l’alloggio nei diversi Länder sono abissali. Basti pensare che ad Amburgo il costo stimato di un rifugiato era di 1951 euro mensili, mentre ad Hemmerich, vicino alla frontiera olandese, nello stesso periodo del 2016 ammontava a 651 euro.

In una risposta a un’interrogazione parlamentare sul tema, il governo tedesco ha dichiarato che il costo annuo di un rifugiato è di 11.800 euro, ossia pochi centesimi più di 32 euro al giorno. Ma secondo l’Istituto statistico tedesco, DeStatis, i soldi spesi nel 2017 sotto l’Asylbewerberleistungsgesetz, la legge che definisce obblighi e benefit per i richiedenti asilo, sono stati 12.860 euro per richiedente su base annua. Quindi il costo sale a 35,23 euro al giorno. Mentre l’istituto IW di Colonia mostra che nel 2017 sono stati spesi cinque miliardi per corsi di lingua e integrazione e 22,6 miliardi per alloggio e sanità, dai quali vengono dedotte le ricadute positive dei rifugiati inseriti nel mondo del lavoro, circa tre miliardi di euro. Il totale di 27,6 miliardi per 2.176.000, numero medio di rifugiati aggregato nel 2017 è di 35,22 euro al giorno. Inoltre, da questi dati rimangono fuori le spese per l’integrazione economica, come i corsi di perfezionamento professionale, difficili da stimare.

“Quando sono arrivato qui ho dovuto seguire dei corsi di tedesco, sulla società e il diritto in Germania, oltre a lezioni teoriche su usi e costumi del Paese“, afferma Zakaria. E se per lui i tempi di attesa sono stati lunghi, il Bamf, Bundesamt für Migration und Flüchtling, dichiara che le domande di asilo inoltrate dal 1° gennaio 2017 hanno un tempo di evasione medio di tre mesi. Che è anche il periodo in cui un richiedente asilo ha il divieto di lavorare in Germania. Alla fine di questo intervallo, per 15 mesi, per un’azienda è possibile assumere un richiedente asilo, a condizione che non riesca a trovare un cittadino tedesco o dell’Ue per quel ruolo.

“Al momento ricevo 400 euro al mese e ho il diritto di vivere in una struttura di accoglienza mentre cerco un lavoro e una casa”, racconta ancora Zakaria. Infatti, se un richiedente asilo è nel paese per più di 15 mesi o ottiene lo status di rifugiato, avrà diritto alle prestazioni di sicurezza sociale ricevendo appunto 400 euro al mese, oltre al rimborso in misura “ragionevole” del costo dell’alloggio e del riscaldamento. A questo si aggiungeranno un indennizzo per un primo equipaggiamento dell’appartamento e l’assicurazione sanitaria obbligatoria pagata dallo stato. Da questo momento il rifugiato avrà di fatto gli stessi diritti di un cittadino tedesco e potrà entrare nel programma del governo contro la disoccupazione, il cosiddetto Hartz IV. Diritti, ma anche doveri, perché dovrà sottostare alle rigide regole che, a fronte di un concreto aiuto economico, impongono la ricerca attiva di un lavoro, corsi di formazione professionale e un massimo di tre rifiuti di offerte di lavoro.

Ma per Bernd Raffelhüschen, professore di economia all’università di Friburgo, “i numeri non hanno nulla a che fare con il costo” ed è impossibile ed inutile fare stime dei costi al giorno. “L’unica soluzione è quantificare il costo nel ciclo di vita. Per ottenere il costo quotidiano bisognerebbe stimare la vita media di un migrante”. Un esempio fatto dal professore è quello di un rifugiato, istruito, giovane, che si riesce ad inserire nel mondo del lavoro, “ovviamente in questo caso avremo un dividendo”, ovvero un utile, sostiene Raffelhüschen. “La migrazione offre dividendi nel caso in cui ci sia una persona giovane e qualificata. Ma immaginiamo che non siano queste le condizioni e prendiamo individui poco qualificati, maschi e che non parlano la lingua, vediamo che il costo medio di un migrante nel ciclo di vita è, ottimisticamente parlando, di 300mila euro a persona, in quanto il periodo di integrazione medio è di 7 anni”.

Il professore, inoltre, sostiene che l’Italia abbia dei costi inferiori di gestione dei migranti dovuti ad un welfare meno generico, “di conseguenza avendo meno diritti per i cittadini italiani ne avrete certamente di meno per i rifugiati”, conclude Raffelhüschen. In ogni caso, la valutazione fatta dal professore di Friburgo non prende in considerazione, a differenza dell’Istituto tedesco per la ricerca economica, Diw, le ricadute positive sull’economia. Secondo Diw, Fondo monetario internazionaleBundesbank, la completa integrazione dovrebbe avvenire entro il 2022-2025, con benefici sull’economia tedesca che superano i costi.

In particolare, in un documento dell’IMF del 2016 si legge: “Dopo aver ricevuto asilo, se trovano lavoro, i rifugiati pagano tasse e contributi secondo regole che sono sostanzialmente simili a quelle di altri migranti o nativi. Se non lavorano, i rifugiati ricevono sussidi sociali, anche se in alcuni casi non hanno diritto agli stessi vantaggi dei nativi”. E il sistema per raggiungere questo apporto positivo ai fini fiscali dovrà arrivare da una “rapida integrazione nel mondo del lavoro” che potrà essere raggiunta grazie ai corsi di lingua e professionalizzanti. Stando al Fondo monetario internazionale quindi, l’approccio tedesco basato su formazione e integrazione può funzionare nel medio e lungo termine.

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