Sono tanto fumo e poco arrosto le offerte di acquisto per Alitalia. Sono arrivati a questa sorprendente e amara conclusione i tecnici che in questi giorni per conto del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli hanno esaminato a fondo le carte consegnate nei mesi passati da Lufthansa, Easyjet e Wizzair ai tre commissari straordinari che da oltre un anno guidano la compagnia di Fiumicino. Più che offerte vere e proprie i tecnici hanno definito quei documenti solo “generiche manifestazioni di interesse non supportate da nessun deposito finanziario“. È partendo da questa constatazione che Toninelli è partito per delineare un primo approccio del governo ad Alitalia, una delle faccende più spinose lasciate in eredità dall’esecutivo precedente.

Parlare di un programma di intervento definito in tutte le sue parti è al momento assolutamente prematuro, si tratta di prime linee di intervento che si basano su un presupposto: stando così le cose, non essendoci compratori veri per la compagnia di bandiera, le alternative secche sono due. O prendere atto della situazione dichiarando chiusa una volta per tutte la storia di Alitalia con tutto quello che ciò si porterebbe dietro in termini soprattutto sociali ed economici. Oppure infrangere un tabù riproponendo un ennesimo intervento pubblico a favore della compagnia, cioè impegnare soldi dei contribuenti per tentare intanto di salvare il salvabile e in prospettiva di rilanciare l’azienda. “Alitalia sarà controllata dallo Stato per il 51 per cento“, ha dichiarato Toninelli aggiungendo che non è escluso che l’altro 49 possa essere ancora denaro di provenienza pubblica.

La malandata compagnia di Fiumicino dà lavoro a circa 12mila persone e una volta chiusa l’azienda il loro costo per le casse pubbliche in termini di protezione sociale sarebbe altissimo. Del resto sarebbe elevato anche il costo di un intervento pubblico per il rilancio aziendale. Dal punto di vista dell’immagine, inoltre, è molto rischioso per il governo proporre l’idea della nazionalizzazione dell’Alitalia. Per vari ordini di motivi: il primo è che i contribuenti hanno già inutilmente dato parecchio per la compagnia dal 2008 in poi. Cioè da quando Silvio Berlusconi decise per motivi tutti elettorali di boicottare la vendita in corso ad Air France mettendo in pista un manipolo di imprenditori privati che alla prova del nove si sono dimostrati improbabili e impreparati: l’azienda di Fiumicino ha gravato per oltre 7 miliardi di euro sulle tasche degli italiani.

I risultati sono stati pessimi. Dopo i capitani coraggiosi berlusconiani, nel 2015 è stato affidato agli arabi di Etihad il compito dei salvatori, ma anche in quel caso è finita male e i contribuenti hanno pagato. Da un anno ci provano i commissari ai quali il governo precedente ha affidato una dote di circa 900 milioni di euro, ma fin dall’inizio non si è capito se essi stessero lavorando per vendere davvero la compagnia a Lufthansa o se stessero giocando un’altra partita con una prospettiva più lunga. Di certo il fatto che le offerte recepite in questi mesi siano sostanzialmente fasulle a questo punto taglia la testa al toro: o Alitalia chiude o bisogna ricominciare daccapo, con nuovi manager, nuovi approcci e nuove strategie.

L’idea su cui il governo gialloverde sta lavorando è quella di un'”operazione di sistema”, cioè un intervento complessivo di politica dei trasporti che potrebbe far leva sulle Ferrovie dello Stato e forse anche sulla Cassa depositi e prestiti. Sia alle Fs sia alla Cassa è in corso il cambio dei vertici e questo potrebbe facilitare la possibilità di un qualche intervento a fianco di Alitalia. Alle Fs in particolare, sventato il tentativo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, di riconfermare la fiducia all’attuale amministratore, Renato Mazzoncini, la Lega sta proponendo il nome di Giuseppe Bonomi, un manager che ha sempre lavorato nel mondo dei trasporti e sembra individuato apposta per assecondare il nuovo corso. Bonomi all’inizio degli anni 2000 è stato presidente di Alitalia, poi ha guidato la compagnia Eurofly, è stato consigliere Anas e infine è stato a capo della Sea, la società degli aeroporti lombardi.

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