L’alta formazione e la ricerca creativa sono entrati da quasi 20 anni in un declino inesorabile, non solo in Italia. Come cerco di raccontare nell’ultimo libro (Morte e resurrezione delle università) è una questione che dovrebbe riguardare tutti, non soltanto gli addetti ai lavori. La sfida per ricostruire un modello educativo partecipato, inclusivo e orientato al sapere e alla conoscenza è una sfida seria. E, se perduta, non sarà perduta da una minoranza di addetti ai lavori, studenti e professori, ma da tutti i cittadini.

Un nuovo modello educativo non potrà nascere senza una riflessione costruttiva da parte di una società consapevole. Ciò presuppone una condivisione tra gente comune e addetti ai lavori. Come stabilire questa condivisione, però, se il mondo accademico è quasi sempre narrato al pubblico in modo distorto, usando modelli astratti ed enfatici, del tutto fuorvianti e inaccettabili? La gente introietta una visione falsa e stereotipata del mondo accademico. E se l’informazione dipinge quasi sempre gli accademici come una mandria di privilegiati fannulloni, il cinema continua a fornire una concezione anomala dello scienziato, dipingendo lo studioso come un individuo anormale, spesso caratterizzato da un profilo esistenziale quasi autistico, come la caricatura del matematico John Nash in A beautiful mind.

Il film The imitation game sulla figura di Alan Turing non dice quasi nulla sul suo ruolo di ideatore della macchina incredibile che oggi chiamiamo computer, ma il personaggio resta confinato nei cliché dello scienziato eccentrico, del genio solitario fuori dalle righe, dell’uomo “sessualmente irregolare”. La teoria del tutto sulla vita di Stephen Hawking, travagliata dalla malattia, è un puro melodramma sul rapporto coniugale dello scienziato da poco scomparso. E anche la vicenda di Charles Darwin narrata in Creation focalizza il rapporto di coppia.

Non va meglio alle donne. Il recente Marie Curie, il coraggio della conoscenza, è una soap-biografia, dove poco si parla di scienza, ma è in gran parte una telenovela sull’adulterio, il sessismo, la xenofobia e l’antisemitismo. Tutto ruota attorno a una figura di eroina volitiva che si è messa in testa di fare una professione maschile. A un certo punto, c’è chi osserva che Marie “brilla come il radio che studia”. E il suo flirt con il giovane Albert Einstein è un cameo bavoso che rasenta il ridicolo.

Al contrario, gli scienziati dovrebbero essere dipinti come persone normali e non come attrazioni da circo. Ricordo un film serio sulla vita di uno scienziato, La vita del dottor Pasteur. Fu girato nel 1936 con mezzi molto limitati dal regista William Dieterle, ma ciò non impedì al film di vincere tre premi Oscar, con Paul Muni premiato quale miglior attore protagonista. E Il diritto di contare, sulle donne afro-americane impegnate nei progetti della Nasa (le matematiche Katherine Johnson e Dorothy Vaughan e l’ingegnere Mary Jackson) rispetta l’impegno scientifico, anche se il film è focalizzato sulla parità di genere e sulla questione razziale.

Tranne rare eccezioni, sia il cinema sia la fiction tv rappresentano sempre e comunque lo studioso accademico come una via di mezzo tra il bavoso Professor Unrat in L’Angelo Azzurro o il vecchio professore che La città vecchia di Fabrizio de André descrive in cerca di avventure mercenarie, quando va bene. Se va peggio, avremo ancora di fronte solo caricature ispirate al dottor Victor Frankenstein, impersonato da Gene Wilder.

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