“A Ostia la mafia non esiste” ha ripetuto più volte negli studi televisivi Domenico Spada, fermato durante l’operazione di oggi contro il clan Casamonica. “A Roma la mafia non esiste. E’ stato certificato che Mafia capitale non esiste”, ripetevano a gran voce i legali di Buzzi e Carminati alla fine del processo conclusosi nel 2017 nato dall’inchiesta sul Mondo di mezzo, per cui i giudici della X sezione penale di Roma non hanno riconosciuto a nessun imputato l’accusa di 416 bis – e cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso – e nemmeno l’aggravante mafioso previsto dall’articolo 7.

Così come non esisteva la mafia a Palermo e nemmeno la ‘ndrangheta a Reggio Calabria. Tutta invenzione dei media. Ci sono volute le stragi a Palermo per comprendere la potenza del fenomeno mafioso e quanto era diventata forte Cosa Nostra, così come in Calabria dove non solo si è scoperto che la mafia esiste ma qualche boss come Pantaleone Mancuso, da nostalgico della vecchia mafia, è arrivato a dire che “una volta a Limbadi, a Rosarno a.. c’era la ‘ndrangheta! La ‘ndrangheta fa parte della massoneria” aggiunge riferendosi al presente, spiegando i rapporti molto più pericolosi fra le sue associazioni. “Le regole quelle sono, come le ha la ‘ndrangheta le ha la massoneria”.

Regole, rapporti fra le varie associazioni criminali, intimidazioni, legami di sangue sono spesso alla base delle associazioni criminali e anche alla base della “non” mafia laziale.

Gli arresti di oggi coinvolgono i Casamonica, la famiglia Spada e quella ‘ndranghetista degli Strangio. E anche questa volta è una donna ad aver aiutato gli inquirenti a fare luce su una “consorteria mafiosa di estrema pericolosità”. La donna non sarebbe mai stata accettata e avrebbe subito comportamenti che abitualmente il gruppo riservava agli estranei. Fuggita di casa dopo essere stata segregata e controllata da altre donne della famiglia.

E solo quando è riuscita a liberarsi da quella prigione ha raccontato tutto quello che sapeva ai magistrati. La sua testimonianza è stata fondamentale, così come fondamentale è stata la collaborazione di due pentiti. “Se parlo sono morto” diceva uno di loro agli inquirenti. “Quelli sono i Casamonica e con quella gente non si scherza”.

Mentre Massimiliano Fazzari, ex componente della banda di origine calabrese ha spiegato che i Casamonica sono assimilabili “alle cosche della sua terra”. La forza intimidatrice del clan ha fatto sì che in questi anni molti continuassero a ripetere che la mafia a Roma non esiste e, invece, sembra identica nelle modalità e nel controllo del territorio alla ‘ndrangheta calabrese, uguale il legame di sangue che unisce i gruppi di potere e che li rende impenetrabili.

Eppure anche in questo caso, come nel caso della ‘ndrangheta, la forza delle donne è stata fondamentale per penetrare dentro al cuore del gruppo, scoprirne i meccanismi e i legami. Mi vengono in mente gli ultimi giorni di vita della povera Maria Concetta Cacciola, anche lei aveva provato a fuggire dalla sua stessa famiglia per inseguire la tanto sognata libertà. Tornata a casa, quasi costretta dai genitori con cui erano rimasti i tre figli, la donna è morta ingerendo acido muriatico. La famiglia ha ostacolato in ogni modo i suoi tentativi di scappare dalla realtà in cui era nata e in cui, purtroppo, è stata condannata a morire. In un Paese in cui, nonostante la storia ci abbia dato moltissimi esempi, si fatica ancora a stabilire cosa è mafia e cosa invece no. Non servono eroi o icone nella lotta alla mafia. Serve non lasciare solo chi denuncia.

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