Cara ministra Giulia Grillo, quella che voglio raccontarle è la storia della signora Nerina.

La signora Nerina era una professoressa di Matematica. Una di quelle rarissime insegnanti di quest’odiata materia che però ha avuto il dono di restare nei ricordi e nel cuore di moltissimi suoi studenti. Anche oggi che la professoressa ha quasi 82 anni.

La signora Nerina ha avuto la sfortuna, cinque anni fa, di ammalarsi gravemente. Di vasculopatia cerebrale. Complicata da una forma assai seria di labirintite e, chiaramente, dalla demenza vascolare. Lei è un dottore e non c’è bisogno che le dica altro.

La signora Nerina è stata ricoverata per sei mesi, tra degenza in terapia intensiva per complicazioni dopo l’episodio acuto, il reparto e la riabilitazione. Poi è tornata a casa. Vede, la professoressa campa con la pensioncina con cui lo Stato gratifica quelli che l’hanno servito per quarant’anni, e ha un figlio, insegnante anche lui. Ma precario. Anche se quel figlio ha cinquant’anni.

Dunque, quel figlio pensò di fare tutti gli incartamenti per richiedere l’invalidità e l’accompagnamento per la madre. Sa, una signora anziana, con la labirintite e una vasculopatia importante, non è cosa di vivere sola. Almeno di una persona che le desse una mano per le faccende più pesanti c’era bisogno. Gliela faccio breve: alla signora Nerina fu riconosciuta un’invalidità totale, del 100%, ma non le fu riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento. Perché “deambulava”. Cioè: era in grado di alzarsi in piedi e fare tre passi contati prima di fermarsi. Arrivederci e grazie.

E si sono dovuti arrangiare, come lei può immaginare.

Poi, lo scorso autunno, la professoressa ha avuto una nuova ischemia cerebrale. Seria, importante. Un nuovo ricovero in ospedale e poi le dimissioni. Per un paio di mesi ha “goduto” (mi scuserà il sarcasmo) dell’assistenza domiciliare di un infermiere e di un fisioterapista tre volte la settimana e a condizioni che può immaginare, poi più nulla. E’ rimasta a letto, non riesce neppure a reggersi in piedi. Indossa il pannolone. E la demenza ha preso il sopravvento. Suo figlio si è dovuto trasferire da lei, e ha nuovamente richiesto l’accompagnamento. Anche perché, vede, dovendosi occupare della madre a tempo pieno, possibilità di accettare supplenze erano impensabili: lei la lascerebbe almeno mezza giornata una donna in queste condizioni da sola in casa? Richiede assistenza. E l’assistenza, sa, si paga. E con quali soldi?

Dunque, a febbraio fa di nuovo richiesta di indennità di accompagnamento e specifica che sua madre è allettata e intrasportabile, quindi la visita del medico della azienda sanitaria deve necessariamente avvenire a domicilio. E dopo appena (mi scuserà nuovamente il sarcasmo) una quarantina di giorni riceve la comunicazione del medico che prende appuntamento. Ora, dottoressa Grillo, io a quella visita ero presente. E gliela posso raccontare. Le posso raccontare di un uomo che più che un medico era un burocrate annoiato, col quale ho dovuto perfino insistere perché entrasse nella stanza della paziente. E ho dovuto quasi costringerlo a visitarla. Continuava a guardare le carte, e a dire che ci voleva una diagnosi neurologica, e poi la diagnosi di un geriatra e poi questo e poi quello, come se il solo referto dell’ospedale e l’invalidità totale riconosciuta già anni prima non fossero sufficienti. Mi creda, fu un disgustoso calvario, mortificante per me, umiliante per il figlio della signora e degradante per la professionalità e la deontologia medica. E forse fu un bene che l’anziana professoressa, che ormai non ha più alcuna lucidità, non si sia minimamente resa conto di cosa stesse accadendo.

Alla fine, il dottore prese qualche appunto e scivolò via verso nuove esaltanti sfide della professione. E passarono i giorni, le settimane, i mesi. Fino alla settimana scorsa. Dopo ben quattro mesi, il dottore s’è deciso a depositare la relazione sullo stato di salute della signora Nerina. Dando esito favorevole all’accordare il tanto necessario “accompagnamento”.

Poi, ieri, arriva una letterina dell’Inps. Una letterina di poche righe, scritta da chissà quale oscuro burocrate cui non auguro mai di trovarsi nelle condizioni della professoressa. Il “signor Inps”, con quattro righe scarne, chiede alla signora Nerina di presentarsi presso la sede di Palermo per un ulteriore controllo il giorno 6 agosto, alle dieci, pena la decadenza della domanda.

Ora, già chiedere a una donna di 82 anni in perfetta salute di uscire di casa il 6 agosto alle dieci del mattino, quando a Palermo se ci sono trentacinque gradi diciamo che è una giornata di piacevole freschetto, è da criminali. Chiederlo a una donna allettata, non in grado di alzarsi e intrasportabile, oltre che totalmente devastata dalla demenza, è un’infamia.

Così com’è un’infamia aspettare quaranta giorni una visita domiciliare, così com’è un’infamia aspettare più di quattro mesi la relazione del medico, così com’è un’infamia costringere un uomo a rinunciare al lavoro per accudire la propria madre gravemente malata.

E ho imparato quanto vale la vita delle persone, ministra Grillo: vale 516 euro e 35 centesimi. Che arriveranno probabilmente troppo tardi per mantenere almeno una parvenza di dignità.
Ci pensi, tra l’autocertificazione di un vaccino e l’altra.

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