Il buongiorno si vede dal mattino. All’hotel Lotte di Samara, quello della Svezia, per esempio, non è che sia stato dei migliori. Perché stamani, alle otto e mezza, mentre i giocatori del cittì Janne Andersson stavano tranquilli in camera a riposare per ricaricare, come si dice in gergo, le batterie psicofisiche prima di affrontare l’Inghilterra nei quarti di finale (gli riuscì di raggiungerli l’ultima volta nel 1994), sono stati invitati a lasciare le stanze. L’albergo che gli ospitava, infatti, è stato evacuato in fretta e furia per motivi di sicurezza.

Il disagio è durato poco: l’allarme era falso. O meglio: era stato molto probabilmente provocato da qualcuno che ha fumato nella propria stanza o da qualcuno che l’ha (accidentalmente?) fatto scattare. Tutti i calciatori svedesi l’hanno presa bene, ha diplomaticamente precisato Staffan Stjerbholm, l’addetto stampa della squadra: “Inostri ragazzi hanno tutto il tempo che vogliono per farsi un bel pisolino prima della partita”. Ma qualche dubbio resta (non sul pisolino, ma sul disturbo). Non oso immaginare che cosa sarebbe successo se invece della Svezia ci fosse stata l’Italia.

L’allarme scattato può essere stato un segno del destino? Nel calcio, come nell’esistenza, si palesano spesso influssi malefici. Li temiamo. Li esorcizziamo. Il celebre drammaturgo francese Tristan Bernard non credeva alla jella perché credere alla jella porta jella. Eduardo De Filippo era più cauto, da buon napoletano: “Essere superstiziosi è sintomo di ignoranza”, premetteva sempre (intanto una mano, nascosta alla vista dell’interlocutore, si chiudeva a pugno lasciando spuntare indice e mignolo dritti come fusi puntati a terra) “ma non esserlo porta male”.

È noto che molti calciatori sono scaramantici: i grandi campioni più di tutti. Certi tatuaggi servono a scacciare il malocchio o a propiziarsi la fortuna. Non bisogna biasimarli. È una debolezza molto umana, quante volte ci lamentiamo brontolando tra noi e noi “oggi mi è andato tutto storto, è stata una giornata da dimenticare”? Persino un filosofo come Benedetto Croce – che amava la ragione assai più dei sentimenti – precisò, dall’alto della sua epistemologia che “la jettatura è una cosa che non esiste ma della quale bisogna tener conto”.

Spesso attribuiamo le nostre sconfitte quotidiane – nella vita, nello sport, nell’amore, nel lavoro – a qualcuno o a qualche posto particolare. Re Alfonso di Spagna aveva fama di jettatore. Nel 1923 fece visita in Italia. Accadde che molti marinai della flotta inviata a scortarlo venissero travolti in mare. A seguire, ci fu un’esplosione in un sottomarino. Un vecchio cannone che doveva sparare una salva in mare saltò per aria, uccidendo i militari attorno. Un ufficiale di marina al quale re Alfonso strinse la mano, morì poco dopo per un collasso. Mica è finita: durante la visita del sovrano nella Valle del Gleno, si ruppe una diga. L’ondata spazzò e uccise 50 persone. Per questo Benito Mussolini, che era superstizioso, evitò accuratamente d’incontrarlo e delegò ad altri la rischiosa incombenza.

Che c’entra col Mondiale? Beh, lo sapete: Paese che vai luogo jellato che trovi (oppure: luogo dei miracoli che trovi). Chiedetelo a Lionel Messi. A Neymar. A Thomas Müller. È alla Kazan arena, inaugurata nel 2013 con una capienza di 42mila 873 spettatori, che ci hanno lasciato le penne dinanzi ad avversari di qualità e fama inferiori. Questo bellissimo stadio ha distrutto speranze ed illusioni di tre giganti del calcio mondiale come la Germania, l’Argentina e venerdì sera (sottolineo: venerdì) il Brasile. Tre Paesi detentori di 11 titoli mondiali! Per di più, i carioca hanno subito una rete al minuto 13 con un autogol del giocatore che indossava la maglia numero 17. Segni. Moniti. Dettagli forieri di disgrazie.

Un particolare non secondario lo nasconde pure la stessa Kazan (una delle 11 città che ospitano il Mondiale), bella e grande capitale del Tatarstan che si trova a oltre 800 chilometri da Mosca, in piena Russia centrale. Nella lingua dei tatari, infatti, il nome dell’antica città significa “calderone”. Ma potrebbe voler dire anche “fossato”. L’una e l’altra accezione ben si adattano al destino ingrato di Germania, Argentina e Brasile, prima bolliti nel calderone della Kazan arena, per essere poi gettati nel fossato delle eliminazioni.

C’è chi ci ha visto addirittura una sorta di rivincita della Storia (“Nulla al mondo avviene per caso”). Il Kanato di Kazan cadde nell’ottobre del 1552 per mano dell’esercito moscovita comandato da Ivan il Terribile. Meno di cinque secoli dopo, la strage delle favorite. La Germania doveva battere la Corea del Sud con almeno due gol di vantaggio per scavalcare il Messico e qualificarsi agli ottavi. Ma proprio a Kazan, è successo l’esatto contrario. Kim Younggwon e Son Heungmin hanno sconfitto i campioni del mondo 2014 ancora in carica.

Il suolo tataro è stato infausto pure per l’Argentina: contro la Francia è finita 4 a 3, a leggerlo così sembrerebbe il risultato di una battaglia senza tregua. Ma è menzognero, ingrato nei confronti della Francia che ha giocato meglio e a tratti sembrava incontenibile. Diecimila tifosi argentini hanno lasciato in lacrime la Kazan arena, qualcuno l’ha maledetta. I coreani avevano punito l’albiceleste senza ottenere nulla, se non un giorno di gloria. Non sempre è il migliore che vince. Però, se gioca meglio nel momento che conta di più, merita il successo. La fortuna, scrisse Niccolò Machiavelli, “è un arbitro di metà dei nostri atti; dell’altra metà si disinteressa, lasciandola al nostro controllo”.

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