Dire che l’ateneo di Trento è al centro di un terremoto giudiziario è quasi un eufemismo. Non capita spesso che finiscano nel registro degli indagati 17 persone, tra funzionari e docenti, oltre a una società, e che emerga una ragnatela sospetta di intrecci pubblici e privati, con una sfilza di reati contestati dalla Procura della Repubblica (falso, truffa, abuso d’ufficio e corruzione). Il sostituto Carmine Russo ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini in un fascicolo che sembrava aver messo nel mirino quattro bandi di gara, asseritamente pilotati, per la progettazione della nuova mensa universitaria a Trento Fiere, ma che ha svelato uno scenario molto più ampio. Da alcuni giorni la vicenda tiene banco in città.

L’inchiesta si occupa di 24 incarichi (importo totale di 350mila euro) affidati a professionisti esterni, mentre si sarebbe dovuto verificare se nell’amministrazione esistessero persone in grado di assolvere a quei compiti. Ci sono poi alcuni bandi di gara poco trasparenti e appalti per più di 3 milioni di euro che, secondo l’accusa, sarebbero stati suddivisi con il sistema dello spezzatino per consentire l’affidamento diretto; si tratta in particolare dell’acquisto di arredi per la Biblioteca universitaria centrale e della ristrutturazione del Rettorato. Un altro capitolo è quello dei professori a tempo pieno che avrebbero avuto un altro lavoro (il danno all’ateneo sarebbe di 600mila euro).

A indagare sono state le Fiamme Gialle. Sul registro degli indagati sono finiti i nomi di funzionari amministrativi, tre docenti e assistenti del Dipartimento di ingegneria civile e meccanica (Dicam). Il nome del direttore di quest’ultimo, il professor Marco Tubino, è stato iscritto per falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, riferita a quattro decreti emessi nel settembre 2016 con cui fu conferito l’incarico professionale a quattro architetti, con l’attestazione della regolarità degli atti della commissione e della dotazione finanziaria sul fondo Lab Design Dicam. Ma il capitolo degli incarichi è più ampio e riguarda almeno 24 affidamenti da parte, tra gli altri, dell’ex dirigente della Direzione patrimonio Rinaldo Maffei (in carica dal 2012 al 2017, è anche sindaco di Nomi) e dell’ex responsabile della segreteria tecnica di direzione, Lucilla Giuri, a professionisti esterni. Questi ultimi avrebbero beneficiato complessivamente di parcelle per 346mila euro.

Al centro dell’inchiesta c’è proprio Maffei, indagato anche per turbativa d’asta, in concorso con altre persone, a causa del frazionamento di alcuni progetti, che così non dovettero passare attraverso l’iter della gara, visto che non superavano i 50mila euro di valore. Tre docenti dovranno discolparsi dal sospetto di doppio lavoro, ovvero di aver svolto la libera professione mentre erano contrattualmente legati all’università con l’obbligo del tempo pieno. Tra questi, Mosè Ricci, docente ordinario e coordinatore scientifico del tavolo di lavoro del Prg del Comune di Trento, che si è dedicato a progettare il nuovo Polo sanitario trentino. Siccome avrebbe utilizzato anche il laboratorio e gli apparecchi del Dicam, è indagato per peculato. Gli altri due indagati sono il professore associato Giuseppe Scaglione e Giorgio Cacciaguerra, ora in pensione.

Dai capi di imputazione spunta anche un episodio di sospetta corruzione, per i lavori che lo studio tecnico Bertuol (che aveva ricevuto incarichi diretti per 70mila euro) eseguì in casa di un funzionario. E un altro di presunta malversazione, per una borsa di studio da 13.600 euro assegnata ad un allievo di Ricci, che poi avrebbe collaborato con lui nell’attività di libero professionista per il Nuovo Polo Sanitario trentino. L’andazzo ricostruito punta il dito contro le borse che servivano per pagare ricercatori, che poi si prestavano ad aiutare i docenti nelle loro attività private di progettazione. L’inchiesta ha trovato prove delle attività professionali nelle mail dei docenti indagati e dei favori concessi dalle intercettazioni ambientali e telefoniche all’università.

Intervistato da Il Trentino Rinaldo Maffei ha commentato: “Sono più curioso che altro. Voglio capire, vedere tutte le carte. Ho costruito 150mila metri quadrati di università, in 10 anni di professione. Centocinquanta mila metri quadri che sono costati, all’Università, 2000 euro a metro quadro, ivati e arredati”. E sostiene di avere solo applicato direttive ricevute. “Ho eseguito disposizioni per raggiungere obiettivi che mi erano stati fissati. Gli obiettivi dell’ Università. In questi anni abbiamo movimentato 400 milioni di euro”

Sul contro del professor Ricci emergono, invece, intercettazioni di colloqui in cui si vantava dell’uso delle strutture universitarie. “Avere uno studio tradizionale, come lo avevamo noi, era una cagata pazzesca. Adesso sotto casa ho uno studio di 50-60 metri quadrati dove c’è mia moglie con un paio di stagisti, tutti i colleghi dell’ex studio Ricci-Spaini sono in rete, se c’è un concorso da fare o un lavoro lo facciamo, poi ognuno fa anche altre cose e le spese si sono improvvisamente decimate, capito? Con una capacità di fuoco che è praticamente la stessa. Io mi sono concentrato molto su Trento, ho messo un laboratorio di progettazione nell’università, per cui diciamo che ho fatto lo studio tradizionale dentro l’università”.

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