Spero che i miei dodici lettori non mi prenderanno per un salapuzio qualsiasi o uno dei tanti cacasenno che infestano il web ma, contando su una loro improbabile benevolenza, vorrei tentare di buttar giù due o tre riflessioni a mo’ di lista della spesa, quella fatta in fretta dietro uno scontrino stropicciato del supermercato e dalla quale manca quasi sempre l’essenziale. Insomma, giusto un po’ di spunti idealmente destinati alla nuova ministra della Difesa, Elisabetta Trenta. Alla quale ovviamente non interesserà nulla di quello che sto per scrivere. Vox clamantis in deserto

Disclaimer. Devo confessare di aver letto un po’ sbalordito un po’ divertito il passaggio relativo alla Difesa contenuto nelle proposte elettorali del M5S in gran parte riversate senza modifiche nel cosiddetto contratto di governo. Una decine di righe in tutto, una delle quali è dedicata all’importanza del ricongiungimento familiare dei militari, un’altra a nuove assunzioni nelle forze dell’ordine (Carabinieri per la Difesa) (ndr: sono confuso, chi sarebbero i “Carabinieri per la Difesa”? Forse un nuovo corpo che si affiancherà ai Carabinieri forestali della ministra Madia?). Ora, posto che non si capisce perché i ricongiungimenti familiari dei soldati debbano meritare un’attenzione superiore a quelli degli insegnanti precari, ho il sospetto che la Difesa italiana meriterebbe un’occhiata meno distratta, se non altro perché ci investiamo 23 miliardi all’anno.

Ma veniamo alla lista.

Primo: riscrivere il “libro bianco” della Difesa o quello che (non) ne è rimasto. Fui facile profeta quando scrissi che si trattava di un libro vuoto più che bianco. Inconcludente e inefficace come sono spesso gli scritti del “pensiero” militare italiano, frantumato tra retorica da liceo classico (non molto tempo fa ho sfogliato un manuale operativo dell’Esercito dove ogni capitolo era aperto da una citazione latina per lo più fuori contesto), indeterminatezza (meglio essere vaghi, non si sa mai), subalternità culturale anglofila (l’ex ministro Di Paola quand’era ammiraglio inventò la parola “assetti” direttamente riversata dall’inglese in un inesistente vocabolario italiano di false friends e da allora diventata patrimonio di tutto il mondo della Difesa, ministri compresi). Nulla di quello che era confusamente annunciato nel mitico libro è stato realizzato o anche soltanto affrontato. Nonostante fosse stato validato, senza timore di sfidare il ridicolo, addirittura dal Consiglio supremo di Difesa che siede al Quirinale. Destino analogo a quello di un’altra pomposa ed inefficace riforma, la Di Paola del 2012 che giace dimenticata nel cimitero delle leggi inapplicate. D’altronde era passata solo grazie a un intervento a gamba tesa del presidente Napolitano alla vigilia di Natale e a poche ore dalla fine della legislatura. Della serie: gatte frettolose, gattini ciechi e ministri incapaci.

Secondo: riequilibrio della spesa. Il bilancio della Difesa è paurosamente squilibrato con quasi l’80 per cento dei soldi che vanno al personale e il resto diviso tra armamenti (dove è investita anche un’altra consistente paccata di miliardi caricati sul bilancio dello sviluppo economico) e spese di funzionamento. Ma è inutile comprare armi se poi non abbiamo i soldi per tenerle in efficienza. Di 200 carri armati Ariete acquistati una quindicina di anni fa ne sono efficienti sì e no 50. Però nuove armi fanno l’orgoglio di generali e ammiragli nelle parate. Se poi non funzionano, non lo sa nessuno se non quelli che le usano. La sindrome degli aerei di Mussolini fatti girare in tondo per far credere che fossero cento e non dieci è ancora qui e lotta insieme a noi. L’ammiraglio De Giorgi con le bugie raccontate a un Parlamento acquiescente è riuscito a far comprare fregate da settemila tonnellate per sostituire corvette da duemila. Perfette per fare blocchi navali nello stretto di Malacca, inutili in un mare piccolo come il Mediterraneo. Non mi soffermerò sulla vexata quaestio degli F-35. Si è già detto tutto e il contrario. Ma vorrei porre un problema non banale: quando li avremo come faremo a pagarne le spese di funzionamento e manutenzione se ci costeranno, come sembra, un miliardo l’anno, cioè la metà del bilancio di oggi dell’Aeronautica militare?

Terzo: le missioni militari. Forse pochi lo sanno ma gran parte dei fondi che sono stanziati ogni anno per le missioni all’estero (oltre un miliardo di euro extra bilancio), in realtà sono spesi per tenere in efficienza i mezzi e i reparti che altrimenti cadrebbero a pezzi. Per cui rinunciarvi o ridurle non ha solo implicazioni di politica internazionale ma impatterebbe direttamente sulla normale funzionalità delle forze armate. Ma qualcuno dovrebbe spiegarci perché dopo 17 anni siamo ancora in Afghanistan, ormai con 900 uomini, terzi in termini di truppe sul terreno dopo americani e tedeschi. I francesi non ci sono più, gli spagnoli sono rimasti in 40. Mentre siamo decisamente poco presenti nelle aree di nostro diretto interesse del cosiddetto Mediterraneo allargato.

Quarto: il personale militare. Non se n’abbia a male la ministra se trovo subalterna e sbagliata la narrazione prevalente sulle basse retribuzioni delle forze armate. I militari italiani hanno retribuzioni medie quasi doppie di quelle degli altri statali e che si avvicinano a quelle del comparto universitario, nonostante i caporali stiano quasi tutti nell’Esercito e non nelle aule universitarie. Per cui il problema non è come dicono alcuni, e come sta scritto anche nel “contratto”, aumentarle. Semmai razionalizzarle evitando che succeda come nel recente riordino, quando diecimila ufficiali sono diventati dirigenti nello spazio di una notte. E cancellare privilegi di altri tempi, come l’ausiliaria (cioè la differenza tra pensione e stipendio che viene pagata a molti militari per cinque anni dopo essere andati in pensione) che pesa per mezzo miliardo di euro l’anno sul bilancio dello Stato. Cioè dieci o dodici volte di più dei vitalizi della cosiddetta casta politica.

Quinto: i civili della Difesa. Da noi esiste ancora il complesso dell’attendente per cui i civili sono visti come portatori di problemi. Questo spiega perché da noi il rapporto tra militari e civili nella Difesa sia ribaltato rispetto ad altri Stati nonostante il costo di un civile sia meno della metà di un militare. E ciò nonostante nella riforma dell’ammiraglio-ministro Di Paola i civili sono ridotti del 33 per cento, i militari del 15 per cento. Per cui ci troviamo il paradosso che alla Direzione generale per il personale civile i militari che fanno gli impiegati sono molti più dei civili. Un capolavoro dell’assurdo. Ionesco non avrebbe saputo fare di meglio.

Sesto: i diritti. La Corte costituzionale e prima la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno definitivamente sgombrato il campo nel merito: i militari hanno gli stessi diritti degli altri cittadini, con alcune limitazioni. La decisione è di questi giorni e coincide con i quaranta anni della rappresentanza militare che adesso può andare meritatamente in pensione per lasciare il posto al sindacato. Naturalmente dei “diritti civili” dei militari né il contratto giallo-blu né il programma del M5S dicono alcunché. Lei ministra può fare molto per impedire che i soliti gattopardi con le stellette rallentino o blocchino i processi in corso.

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