“Con l’accordo sindacale, già dal prossimo anno scolastico si elimina l’istituto della cosiddetta chiamata diretta dei docenti. In attesa dell’intervento legislativo di definitiva abrogazione, che è mia intenzione proporre nel primo provvedimento utile, con l’accordo sindacale di oggi si dà attuazione a una precisa previsione del contratto del governo del cambiamento, sostituendo la chiamata diretta, connotata da eccessiva discrezionalità e da profili di inefficienza, con criteri trasparenti e obiettivi di mobilità ed assegnazione dei docenti dagli uffici territoriali agli istituti scolastici”, così il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti.

Senza colpo ferire e – soprattutto – a costo zero, ecco l’annuncio del neo ministro leghista: chiamata diretta cancellata. Abbattuto uno dei provvedimenti più odiosi della ancora per molti inemendabile “Buona Scuola” (la legge 107/15). Di cosa si tratta? L’accordo prevede che gli insegnanti che per l’anno scolastico 2018/19 abbiano ottenuto il trasferimento su ambito territoriale, possano effettuare il passaggio da ambito a scuola senza la chiamata diretta (una sorta di scelta discrezionale da parte dei dirigenti scolastici), ma in base ai punteggi dei trasferimenti stessi, ferme restando le precedenze previste dall’art. 13 del Ccnl Mobilità. La procedura riguarderà, con le stesse modalità, anche i docenti che saranno assunti in ruolo a partire dal 1° settembre 2018.

Il governo ci informa che è stata preferita – per motivi di tempo – la procedura negoziale rispetto all’intervento diretto sul testo della legge 107/5, la Buona Scuola. Indubbiamente un passo avanti, ma molto parziale; inappropriati i toni trionfalistici (e reticenti rispetto alla concretezza dell’operazione) con cui è stato annunciato non solo dal ministro, ma da tanti esponenti di Lega e 5Stelle; e recepito, da parte di alcuni insegnanti; siamo ben lungi dalla cancellazione non solo della legge, che nel 2015 molti consideravano – e moltissimi ancora oggi considerano – inemendabile, ma anche della titolarità triennale sull’ambito territoriale per ripristinare quella sulla scuola.

Nel primo mese del “governo del cambiamento” chi frequenta il mondo della scuola – i cui voti si sono ampiamente indirizzati al M5S – ha percepito un certo imbarazzo; l’accordo con la Lega, che ha dato vita allo stesso governo, deve continuamente far fronte alle imbarazzanti twittate di Salvini, che non possono certamente lasciare indifferente chi abbia a cuore alcuni principi basilari su cui si fonda nostra Repubblica; la scena mediatica è saldamente in mano alle notizie sui destini di barconi pieni di vite umane confinati al largo del cimitero del Mediterraneo; o sui tempestosi botta e risposta sulla scena internazionale, improntati ad una comunicazione eufemisticamente spregiudicata; Salvini protagonista assoluto. Il gemellaggio con la Lega non è cosa facile da gestire – e nemmeno da digerire – per molti elettori del M5S: il limite tra spregiudicatezza e assenza di umanità è labile.

Ecco quindi, a rassicurare l’elettorato e i docenti, un provvedimento temporaneo e incompleto, che interviene peraltro sull’ultima parte dell’ingranaggio perverso, messo in campo da Renzi-Giannini nel 2015: la chiamata diretta; che però, dopo un primo anno di entusiasmante (si fa per dire) sperimentazione, è stata progressivamente sostituita dai dirigenti scolastici con il ricorso agli Uffici scolastici regionali per l’assegnazione dei docenti alle scuole. Un flop, che nell’ultimo anno ha avuto pochissimi fan; fatti salvi l’incorreggibile e fedelissima senatrici  Simona Malpezzi (Pd) e i primi committenti del provvedimento, l’Associazione nazionale presidi che ne rivendicano la bontà e ne stigmatizzano l’erronea applicazione.

I sindacati che hanno firmato l’accordo – Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Gilda – si trovano nell’imprevisto ruolo di stampella di un ministro che ha grande necessità di credito e di consenso da parte del mondo della scuola. La riforma che il M5s diceva di voler cancellare e alcuni sindacati di voler combattere attraverso un’implacabile mobilitazione viene dunque – tornati da tempo, gli uni e gli altri, a più miti consigli – sottoposta a un “cacciavite” in chiave 4.0: uno smontaggio di piccoli – a volte piccolissimi – pezzi di quella riforma. Chi ha buona memoria, però, ricorderà che il cacciavite – quello originale del ministro Fioroni (2006-8) – allentò solo molto parzialmente le viti della riforma Moratti, preparando (grazie a tanta delicatezza) lo spazio nel quale la Gelmini poté operare indisturbata.

Perché, rispetto a certe violente imposizioni e al sovvertimento ideologico delle condizioni costituzionali, quali quelle che la scuola pubblica italiana ha subito negli ultimi 20 anni, la politica dei piccoli passi porta semplicemente al progressivo allentamento della sorveglianza sui e dei principi. Preparando il campo all’arretramento nella consapevolezza dei medesimi. La strategia sindacale degli ultimi anni e il modo in cui la Buona Scuola è stata introiettata da tanti insegnanti ne è la prova. La 107, la più ideologica e dunque più violenta delle riforme, è entrata nelle mente di tanti docenti, che si sono battuti per il bonus premiale e non per un contratto decente. Detto in altre parole: “scacciavitarel’alternanza scuola lavoro significherà rinunciare definitivamente alla sua cancellazione.

A chi spetta, in questo Paese, alimentare la cultura dei diritti e la prospettiva del conflitto?

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