L’attacco partito dalla procura di Milano e indirizzato all’Anac ha stupito Raffaele Cantone, che rivendica la “correttezza” del suo operato. Se  ieri il numero uno dell’Anticorruzione non aveva commentato ufficialmente le critiche contenute nel bilancio di responsabilità sociale dell’ufficio inquirente guidato da Francesco Greco– facendo filtrare solo “fastidiomeraviglia e stupore, per accuse generiche e non dettagliate” – oggi  ha replicato rispondendo ai cronisti che lo hanno fermato alla fine di un evento al Politecnico di Milano.
“Sono stupito. Rivendico con assoluta certezza la correttezza delle nostre attività istituzionali. Prendo atto – precisa – delle dichiarazioni che ha reso dopo Greco, e per me la questione è chiusa. I miei rapporti personali con Greco sono stati sempre non ottimi, di più” e così i rapporti istituzionali con la procura di Milano “sempre non ottimi, ma di più”. Cantone crede al fatto che sia stata “una valutazione tecnica scritta in modo non del tutto chiaro. Poi – precisa – se ci sono rilievi specifici siamo disposti a rispondere da tutte le parti”.

L’attacco della procura di Milano – La valutazione tecnica poco chiara a cui fa riferimento Cantone è rappresentata da cinque righe contenute in un rapporto lungo 107 pagine, in cui la procura di Milano scrive: “L’Autorità Nazionale Anti Corruzione ha trasmesso numerosi illeciti da cui si potevano desumere fatti di corruzione. Tuttavia il ritardo con cui le notizie sono state trasmesse e soprattutto le modalità di acquisizione degli elementi (acquisizione di documentazione presso gli enti coinvolti) hanno determinato una discovery anticipata,sostanzialmente rendendo inutili ulteriori indagini nei confronti di soggetti già allertati”. Un passaggio che aveva scatenato le polemiche e per questo motivo il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, aveva specificato: “Credo che l’Anac sia importante e che il lavoro di Cantone sia encomiabile. Abbiamo solo indicato un problema tecnico sulla necessità di poter utilizzare quello che loro ci mandano in maniera più tempestiva. Non c’era alcuna intenzione polemica, i rapporti tra l’Anac e la Procura di Milano sono sempre stati ottimi”.

“Procedura Anac non interferisce con procure” – Oggi, alla domanda se sia qualcosa di migliorabile nelle procedure dell’Anac, Cantone risponde: “Non c’è un tema di migliorabilità, noi facciamo un lavoro che non ha nulla a che vedere con quello giudiziario. Ovviamente  se all’esito delle nostre attività, che sono regolate da leggi specifiche, emergono fatti di rilevanza penale, come è giusto che sia, vengono trasmessi alle procure. Noi – ha precisato Cantone – non abbiamo mai interferito con le attività delle procure, anzi in tutti i casi in cui lontanamente ci è stato segnalato che c’erano attività delle Procure ci siamo astenuti dal farlo. Quindi su questo, avendo io un’esperienza di Procura non di un giorno, non dimentico che ho fatto per oltre 15 anni il pubblico ministero, sono molto sensibile a questi temi”.

Il caso Expo – Ma a cosa si riferiva l’ufficio inquirente guidato da Greco in quel paragrafo inserito nel bilancio di responsabilità sociale? Probabilmente alle carte mandate da Cantone sulla vicenda dei 16 milioni di fondi Expo stanziati per rendere, tra le altre cose, informaticamente efficiente il palazzo di giustizia di Milano. Segnalazioni arrivate troppo tardi secondo i pm che avevano impotizzato una presunta turbativa d’asta. Su quei 16 milioni nel  l’Anac aveva individuato 18 violazioni in 72 procedure del valore di circa 9 milioni di euro. Nel dettaglio 10 milioni sebbero stati spesi senza che fosse indetta una gara come previsto dalla legge. La relazione dell’Anticorruzione aveva “prodotto” un esposto presentato alla Corte dei conti, alla Procura Generale della Cassazione (per eventuali profili disciplinari a carico di magistrati), e alla procure di Milano, Brescia e Venezia per gli eventuali rilievi penali.

L’Anac e le indagini di tre procure – L’Anac aveva evidenziato violazioni del codice degli appalti perchè il comune di Milano, stazione appaltante, aveva “effettuato un improprio ricorso alle procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando di gara”. In molte procedure, aveva scritto ancora l’Anac, “non è stata effettuata l’indagine di mercato volta a individuare la presenza di eventuali fornitori alternativi” e tra le “criticità” anche l’assenza spesso di “motivazioni vincolanti per l’affidamento del servizio al medesimo fornitore”. Eventuali reati sarebbero stati commessi tra il 2010 e il 2015 ma l’Anac si era mossa solo nel febbraio del 2017 quandoa aveva delegato la Guardia di Finanza ad acquisire documentazioni sui milioni stanziati e spesi anche per acquistare circa 170 monitor collocati di fronte alle aule nel Palagiustizia e rimasti negli anni inutilizzati. A parlare per primo di “milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara” era stato il blog ‘Giustiziami.it’ nel 2014.

L’indagine a Brescia – Il 28 maggio scorso, invece, i pm del capoluogo lombardo hanno deciso di trasmettere ai colleghi di Brescia gli atti dell’inchiesta, per fargli valutare eventuali profili di responsabilità penale da parte di toghe milanesi. Nella gestione degli appalti, infatti, aveva avuto un ruolo l’Ufficio innovazione del Tribunale e quello della Corte d’Appello, il primo diretto dall’allora presidente dei gip milanesi Claudio Castelli, ora al vertice della Corte d’Appello di Brescia. Da qui il fascicolo aperto anche dai pm veneziani, competenti su presunti illeciti commessi da toghe bresciane. Nel registro degli indagati della procura di Milano, invece, era iscritta (proprio per turbativa d’asta) una sola persona ma non un magistrato.

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