Don Pino Puglisi diceva “Se ognuno fa qualcosa…”. Di fronte a quanto sta avvenendo in queste ore nel mar Mediterraneo non si può stare zitti. I primi a essere spariti sono i leader di quella che qualcuno chiama Sinistra: al massimo twittano. Dove sono? Matteo Renzi? Pietro Grasso, il “Che Guevara” in giacca e cravatta di LeU? E Massimo D’Alema? È già sulla barca ? Maurizio Martina? Quelli di Potere al popolo? E Giuseppe Civati, ve lo ricordate?

Nessuno ha il coraggio di chiamare alla piazza. In queste ore l’unico appello è arrivato dalla Rete in maniera anonima. Non da un partito, non da un sindacato. E forse è pure meglio. Ai miei alunni alla fine di ogni anno dono la Costituzione e quattro regole da conservare: rompete sempre le scatole; denunciate sempre ciò che non va; viaggiate, viaggiate, viaggiate; non siate mai indifferenti. Di fronte a sette barconi in difficoltà al largo delle coste libiche, la Guardia costiera di Roma ha lanciato l’allarme e poi passato il comando delle operazioni a Tripoli. L’ Ong spagnola Proactiva open arms – la cui nave si trova a 65 miglia dai barconi – accusa su Twitter: “Alle 12.40 abbiamo risposto alle sette chiamate della Guardia costiera di Roma rivolte a tutte le navi per il salvataggio in acque internazionali di mille persone alla deriva. Risposta: ‘Non abbiamo bisogno del vostro aiuto’”.


Presto è arrivata la consueta spiegazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Altri mille immigrati sui gommoni? Giusto che intervengano le autorità libiche come stanno ben facendo da giorni, senza che le navi Ong si intromettano e disturbino. Sappiano comunque questi “signori” che i porti italiani sono e saranno chiusi”.

Forse varrebbe la pena ricordare anche le parole del capitano Gregorio De Falco, oggi senatore 5 stelle che la notte del 13 gennaio 2012 ordinò al capitano Francesco Schettino della Costa Concordia di “tornare subito a bordo”: “Si deve capire che 239 persone su un gommone nel canale di Sicilia sono naufraghi prima ancora che migranti”. E vale ugualmente riprendere anche le parole di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che ha soccorso in questi anni migliaia di migranti: “È inaccettabile che una controversia tra due Paesi gravi sulla vita di centinaia di persone. È vero che tutti gli Stati europei sono chiamati a contribuire nella gestione di un problema assai complesso quale è l’immigrazione oggi nei nostri mari. Tuttavia, non è sicuramente la strada migliore chiudere i nostri porti e assumere posizioni ingiustamente rigide al fine di comunicare che l’Italia non vuole essere lasciata sola. L’obiettivo primario rimane la salvaguardia della vita umana. È disumano, pertanto, permettere che un ‘braccio di ferro internazionale’ oscuri la necessità di offrire un porto sicuro a chi ne ha lasciato uno che sicuro non era. Non dimentichiamo mai che stiamo parlando di esseri umani”.

Qualcuno farebbe bene a leggere il libro Vite AnNegate (Armando Siciliano editore) di Roberto Rapisarada che è stato maresciallo dei Carabineri a Lampedusa dal 1999 al 2006: “Agostino, amico mio, collega di mille battute di pesca, noi – cita il libro – lo abbiamo sempre fatto, abbiamo sempre rispettato le leggi e, credimi, le abbiamo rispettate sempre nel modo migliore, nel modo più diligente possibile. Ma chi fa queste regole, chi fa queste leggi, sta facendo lo stesso? Sta facendo tutto il possibile per queste vite? E per le vite anNegate cosa è stato fatto? Saranno dimenticate come tutte le altre? Possibile che questi ‘potenti del mondo’ continuino a chiamare ‘emergenza’ un fenomeno nato già alcuni decenni fa?”.

In Vite AnNegate Rapisarda ben spiega il viaggio di questa gente. L’arrivo nel mar Mediterraneo è solo l’ultima parte di una via Crucis che uno come Salvini non vuol vedere. Possiamo sollevare anche dubbi sulle navi delle Ong ma non possiamo farlo sequestrando vite umane come riscatto di fronte all’Europa. E di fronte a questo atteggiamento non si deve tacere.

In queste ore la Rete si è mossa. Ha lanciato una mail bombing alla Guardia Costiera per capire. Nessuna accusa. Solo degli interrogativi. L’appello a cui tutti possono aderire inviando la mail a guardiacostiera@guardiacostiera.it o guardiacostiera@mit.gov.it dice:

“Apprendiamo che la Guardia costiera italiana ha, nella giornata di venerdì 22 giugno, diffuso una nota, rivolta ai comandanti delle imbarcazioni che si trovano nella zona antistante la Libia, in cui si precisa di ‘rivolgersi al Centro di Tripoli ed alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso’. La Guardia costiera italiana ha sempre svolto in questi anni importanti operazioni di soccorso in mare portando in salvo migliaia di persone, operando anche al limite delle acque libiche.

Ci chiediamo perché oggi delegando alla Libia – Paese con governo instabile, non in grado di garantire i diritti fondamentali dell’uomo e ancora priva di una Centrale operativa nazionale di coordinamento degli interventi di soccorso in mare – il vostro Corpo, pur eseguendo un comando, intenda vanificare l’importante operato fin qui svolto e contravvenire alla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979 ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982. Tutto ciò dinanzi, peraltro, ad una Guardia costiera libica su cui pesano pesanti accuse di ‘condotte violente durante le intercettazioni in mare e collusione con i trafficanti’, come evidenziato da un recente Rapporto di Amnesty International. Su questa stessa Guardia costiera sono in corso indagini da parte del Tribunale penale internazionale”.

È solo una mail, ma “se ognuno fa qualcosa…”.

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