L’ex sindaca di Genova Marta Vincenzi ha “mentito a tutti”, ha “totalmente abdicato ai suoi doveri di intervento in materia di protezione civile” con una “fuga dalla responsabilità” e “ha operato una valutazione ‘politica’ indirizzata al mantenimento del consenso popolare“. Lo scrivono i giudici di corte d’appello di Genova nelle motivazioni della sentenza di condanna a 5 anni per l’ex sindaca per l’alluvione del 2011 in cui morirono 4 donne e 2 bambine. Nella tragedia del Fereggiano morirono Shpresa Djala, mamma di 29 anni e le figlie Gioia (8 anni) e Janissa di 10 mesi, Serena Costa (18 anni), Angela Chiaramonte (40) ed Evelina Pietranera (50).

Oltre a Vincenzi erano stati condannati l’ex assessore Francesco Scidone a 2 anni e 10 mesi (4 anni e 9 mesi in primo grado), a 2 anni e nove mesi Gianfranco Delponte (4 anni e 5 mesi), a 4 anni e 4 mesi Pierpaolo Cha (1 anno e 4 mesi) e 2 anni e 10 mesi a Sandro Gambelli (1 anno), a 8 mesi l’ex coordinatore dei volontari di protezione civile Roberto Gabutti (assolto in primo grado). “I garanti della sicurezza – si legge nelle carte – hanno tentato un azzardo pericolosissimo con il destino con ingiustificata e elevatissima imprudenza“.

Gli imputati, proseguono i giudici nelle motivazioni, “avrebbero dovuto chiudere scuole e strade almeno il giorno prima visto che sono situazioni che non possono essere rese operative in tempo reale. Non vi è dubbio che le informazioni delle quali il sindaco disponeva erano tutte orientate in modo univoco e esplicito a paventare l’esondazione dei corsi d’acqua, con tutte le conseguenze che necessariamente ne derivano (e che a tutti i cittadini genovesi, amministratori in testa, sono ben note per la reiterazione di tali fenomeni almeno dagli anni ’80 in avanti). E, consegue ancora, è altrettanto notorio che uno dei provvedimenti prioritari da adottare in caso di temuta alluvione è proprio la chiusura delle scuole. La condotta del sindaco non può che essere valutata come gravemente colposa”. “Vincenzi – si legge nelle motivazioni – lungi dal compiere una ragionata scelta tecnica alla luce delle informazioni fornitele, ha operato una valutazione ‘politica’ dettata da considerazioni del tutto estranee alla tutela della collettività, e piuttosto indirizzate al mantenimento del consenso popolare da parte di quei ceti (commercianti e in genere operatori economici) che in occasione di interruzioni delle normali attività lamentano danni per le loro imprese“.

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