Vezio De Lucia, insigne urbanista partenopeo ha scritto un pamphlet – Napoli, promemoria. Storia e futuro di un progetto per la città (ed. Donzelli) – che narra la vicenda del piano regolatore di Napoli dai primi anni Settanta a oggi: De Lucia è stato oltre che docente universitario, assessore all’urbanistica del Comune di Napoli e precedentemente ha collaborato ai piani di ricostruzione della città dopo il grave sisma del 1980.

Dal punto di vista professionale ha ricoperto e ricopre tutt’ora prestigiosi incarichi pubblici. Personalmente l’ho conosciuto meglio dopo che ha lasciato l’incarico di assessore nella seconda giunta di Antonio Bassolino, quando le vicende nazionali e locali della sinistra volgevano al peggio e ci siamo ritrovati a condividere posizioni critiche, nella ricerca di una nuova strada per quel che definiamo il “rinnovamento della sinistra”, cui non siamo affatto giunti, anzi tutt’altro come anche le ultime vicende del Paese evidenziano.

Ora che vivo a Bologna, dove mi sono trasferito per motivi di lavoro oltre 25 anni fa, mi rendo conto sempre più delle profonde differenze che esistono con la mia città natale, più grande, più complessa, più disgraziata ma anche senza dubbio meno provinciale. A Napoli le cose sono o veramente pessime o straordinarie, le vie di mezzo ci sono del tutto estranee, diciamo che la media normalità non è la cifra della capitale del Mezzogiorno.

Invece Bologna è, all’opposto, la rappresentazione della virtù della medietà; nel senso che non è ne catastroficamente inguaiata, come si dice solitamente di Napoli, ma nemmeno brilla di una particolare eccellenza se non in alcuni comparti, come l’industria meccanica, oppure in alcune facoltà universitarie, nel commercio, nella sanità.

Col passare del tempo però Bologna, che è stata a lungo avanguardia del Paese, un po’ di colpi ne ha persi e se pure per tanti motivi ancora è un luogo dove la qualità della vita è migliore che altrove (ovviamente anche di Napoli), oggi si avvertono tutti i segni di una stagnazione e fenomeni di peggioramento dei servizi che cominciano a pesare. Per tutti i problemi della viabilità, del traffico e dell’inquinamento conseguenti scelte urbanistiche e soprattutto trasportistiche molto discutibili.

Tornando al libro, De Lucia racconta come Napoli – da emblema della distruzione del territorio attraverso una speculazione edilizia consacrata anche nel film di Francesco Rosi Le mani sulla città – abbia percorso gli ultimi 40 anni, tranne alcune interruzioni, un virtuoso cammino per guadagnare la fama di città urbanisticamente all’avanguardia in Italia, attraverso la realizzazione di piani e progetti di trasformazione territoriale e infrastrutturale che hanno cambiato profondamente la sua fisionomia. Fino al raggiungimento, prima grande città d’Italia, del traguardo impensabile del consumo di suolo zero (ovvero della eliminazione di ogni programma edilizio che possa consumare suolo agricolo) un obiettivo d’importanza storica.

Come si sia giunti a questo importante risultato, De Lucia lo spiega in modo esauriente e documentato, riportando il lavoro che un gruppo di giovani e battaglieri architetti e progettisti, riuniti intorno alla prima giunta di sinistra della storia della città, quella guidata da Maurizio Valenzi dal 1975 al 1983, congegnarono: un piano di recupero delle periferie e un sistema di viabilità e trasporto pubblico su ferro integrato su scala metropolitana e regionale, che sono diventate l’ossatura dello sviluppo urbano che da allora (nonostante le gravi ferite del terremoto del 1980) ha consentito alla città – innanzitutto con le amministrazioni guidate da Antonio Bassolino prima, da Rosa Russo Jervolino e ora da Luigi De Magistris – di non subire più l’insulto dell’invasione cementizia che aveva divorato negli anni del dopoguerra le splendide colline e dilagato nelle pianure delle città provinciali cingendo Napoli in una morsa letale.

Bologna c’entra molto perché il piano di salvaguardia del centro storico adottato guardava espressamente a ciò che a Bologna avevano fatto le amministrazioni rosse di Giuseppe Dozza e di Guido Fanti, soprattutto attraverso il lavoro di Pierluigi Cervellati che, insieme a Campos Venuti, aveva preservato le colline bolognesi e il centro storico da pericolose trasformazioni, mantenendo un forte carattere identitario al paesaggio e alla stessa società urbana.

Bologna era l’esempio cui guardare e cui Napoli guardò. Ora forse possiamo dire che “gli allievi superarono i maestri” se ci troviamo paradossalmente in una fase in cui a Bologna e in Emilia Romagna si lotta per non indietreggiare dal punto di vista della difesa degli spazi verdi e della concezione stessa della pianificazione pubblica. La Regione ha varato di recente una legge urbanistica che pone potenzialmente ad alto rischio le aree libere residue nelle aree urbane, attraverso un sistema che di fatto affida tutto il potere ai grandi gruppi edilizi e immobiliari con le loro ragnatele finanziarie.

Ne è la prova l’aspra vicenda dei prati di Caprara”, grande area verde boschiva di altre 40 ettari a ridosso delle mura cittadine, che cinge il grande ospedale Maggiore (ex dislocamento militare ceduto al Comune), dov’era inizialmente previsto un parco pubblico e che l’ultimo piano edilizio comunale ha trasformato in zona edificabile, con l’intento di realizzare, in diversi interventi, centinaia di alloggi e perfino un outlet in una zona già densamente abitata e soprattutto congestionata da un imponente traffico d’attraversamento che pone seri problemi alla stessa viabilità legata all’ospedale.

Un’operazione spericolata, perfino inconcepibile che sta provocando un’estesa e dura protesta di migliaia di cittadini e operatori economici della zona perché di tutto si sente il bisogno fuorché di nuove costruzioni in aree che sono già tanto problematiche e, soprattutto, poiché non si intende rinunciare a un fondamentale area verde. Un progetto sciagurato che pone seriamente in discussione un pezzo importante di città col rischio di grave alterazione di un già precario equilibrio e che la dice lunga sulla visione dell’attuale amministrazione in tema di salvaguardia del consumo di suolo.

Di tutto questo discuteremo mercoledì 20 giugno a Bologna, in un incontro alle ore 18.00 al Centro sociale e culturale Giorgio Costa con la partecipazione dell’autore del libro Vezio De Lucia, di Antonio Bassolino e di Pierluigi Cervellati oltre che dell’archeologa Maria Pia Guermandi. Un appuntamento veramente interessante.

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