La malattia non è mai stata così divertente. “Quando mi hanno detto che avrei dovuto guidare da Milano a Roma, e per giunta in Apecar, lo ammetto: è stato uno choc”. Ada ha fatto 15 minuti di pratica in un parcheggio di Assago, poi “senza aver preso ben confidenza col cambio”, è partita mani sul volante insieme ai suoi compagni di viaggio. Nove giorni dopo sono arrivati a Roma Isa, Martina, Eleonora e Denise. Si fanno chiamare B.Livers, hanno tra i 20 e i 30 anni e sono quasi 80: eccoli, i ragazzi che hanno combattuto (o stanno combattendo) una grave malattia (tumore, HIV e anoressia) con la voglia di mettersi in gioco e guardare al mondo da un punto di vista diverso. “Siamo andati in giro per l’Italia con la voglia di riscoprire il bello di questo Paese”, raccontano. “No, non esiste una cosa simile nel resto del mondo”, sorride Bill Niada, tra i fondatori del gruppo.

Bill, imprenditore milanese, ha deciso di dare vita all’associazione Magica Cleme dopo la malattia e la scomparsa di sua figlia. Dalla sua azienda, la Near, è nata una onlus. E da qui parte l’esperienza dei B.Livers. “All’inizio avevamo pensato a progetti per migliorare la loro degenza in ospedale – racconta –. Poi abbiamo pensato di uscire fuori e prenderci il mondo”.

Nel 2012, insieme alla stilista Gentucca Bini, sono almeno 15 i B.Livers che dagli ospedali oncologici di Milano pensano, progettano e realizzano una collezione di moda. Si continua poi con una canzone insieme a Faso di Elio e Le Storie Tese, una collana di borse con Coccinella, una serie di capi disegnati per Max Mara. “Il gruppo ha deciso di chiamare la collezione B.Live, con il punto a significare un bullone, perché era una cosa che li teneva uniti con forza. Da lì è nato tutto”.

All’inizio avevamo pensato a progetti per migliorare la loro degenza in ospedale. Poi abbiamo pensato di uscire fuori e prenderci il mondo

Negli anni i progetti sono stati tantissimi. Con un’attenzione particolare al mondo del lavoro. “Molti dei B.Livers hanno cominciato a curare la comunicazione social delle varie aziende con cui collaborano”, spiega Bill. Alcuni sono stati confermati in stage. Altri sono stati assunti. “Parliamo di ragazzi che hanno dai 20 ai 24 anni e che grazie a questo percorso capiscono com’è fatto il mercato lavorativo”, continua. La settimana è piena d’impegni, tra la riunione di redazione al giornale, le interviste, gli incontri, l’alternanza scuola-lavoro (oltre 250 studenti coinvolti l’anno). “Non siamo persone per cui provare pietà, ci vogliamo mettere in gioco e conquistare il nostro posto di lavoro”, racconta Ada, che gestisce il sito del Bullone, il giornale dei B.Livers.

L’ultima idea è stata quella di un viaggio per l’Italia in Apecar: “Siamo partiti da Milano a fine settembre a bordo di tre ape calessino – ricorda Bill – e attraverso strade provinciali e statali abbiamo fatto un percorso di 1.500 chilometri per arrivare a Roma, intervistando i giovani che avevano avuto buone idee, che si davano da fare, che incidevano positivamente sulla società con associazioni, startup, innovazioni”.

I ricordi sono tantissimi. Ogni città nei nove giorni di viaggio si è trasformata in un incontro stimolante e curioso. Dai ragazzi di Officine Buone a Rieti alla web radio di Sirmione, dai canti a squarciagola sulla statale alla serata in musica con la Nota in più, musicisti affetti da autismo e sindrome di down. Ogni mattina la sveglia all’alba: poi la marcia verso la tappa successiva. “Eravamo mezzi addormentati, ma la musica e l’eccitazione facevano da cornice”, ricorda Chiara. 1.500 chilometri in cui i ragazzi a bordo dei loro Apecar non sono riusciti a sorpassare nessuno e a stento toccavano i 50 all’ora. “Però ricordiamo con enorme emozione il momento in cui abbiamo superato – in discesa – un trattore lungo gli Appennini”, sorride Bill.

Noi aggreghiamo i ragazzi, a prescindere dalla malattia. E loro sono da esempio per tutti: ragazzi sani, giovani e adulti

Dopo il primo tour si sta già organizzando il secondo: un viaggio da Roma verso il Sud, sempre a bordo degli immancabili Apecar, stavolta per incontrare realtà agroalimentari che stanno facendo qualcosa di buono nel campo dell’alimentazione e dell’ambiente.

L’energia di questi ragazzi è contagiosa, inarrestabile. E sono sempre di più coloro che si iscrivono alle attività. “Penso che non esista da nessuna parte, né in Italia né all’estero, una realtà che aggrega patologie così differenti – continua Niada –. La verità è che noi aggreghiamo i ragazzi, a prescindere dalla malattia. E loro sono da esempio per tutti: ragazzi sani, giovani e adulti”.

Il lungo percorso, alla fine, si è fatto sentire, tra un dolore cervicale e la stanchezza accumulata. Ma senza esagerare. “In questo viaggio ho capito che non conta sola la meta, che la famiglia non è solo quella di sangue. Che un’avventura così è un toccasana contro la malattia”, conclude Denise. “In questo viaggio ho capito che ci sono tante persone in Italia che fanno del bene e di cui non si sa niente”, sorride Eleonora. Pronti per il prossimo? “Che domande. Lo rifarei subito – esclama – E poi ora ho imparato a guidare l’Apecar”.

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