Estate in arrivo, si chiudono i giochi. In una stessa giornata si può assaporare il meglio e il peggio dell’insegnamento in carcere. La mattina c’è la “gita di fine anno”; il pullman blu della polizia penitenziaria parte dalla Casa di reclusione di Rebibbia al gran completo, con la direzione, l’area educativa, il comandante e, a riempire le ultime file come da tradizione, gli studenti. Solo che questi non hanno chitarre per cantare vecchie canzoni: sono adulti, detenuti.

In programma i Mercati Traianei che, come scopriamo, erano il centro della vita amministrativa e giudiziaria dello Stato, altro che botteghe e mercati. In una sala dei piani alti con vista mozzafiato sui Fori imperiali, il Colosseo, il Campidoglio, la Colonna, cioè quanto di meglio l’umanità ha saputo costruire e lasciarci, i saluti di rito: il direttore Stefano Ricca, le autorità, il garante regionale dei diritti dei detenuti Stefano Anastasia, l’associazione Zètema del Comune di Roma che, con Monica de Martiis, organizza l’evento. Il clou è la visita guidata alla mostra Traiano – costruire l’impero, creare l’Europa (e di questi tempi, ogni riferimento non mi pare puramente casuale).

Rebibbia X° edizione Arte dentro

Tutti in fila come scolaretti, dalle massime autorità agli studenti dell’ultimo banco, senza più distinzione di sorta, ad ascoltare l’appassionata lezione della responsabile del museo Lucrezia Ungaro. È un momento magico, tra le sale piene di reperti e testimonianze con proiezioni di audio-visivi esplicativi, si è come risucchiati nel passato: i particolari dei bassorilievi, il retro delle statue, le acconciature delle donne ritratte, tutto concorre – attraverso le tecniche più innovative a disposizione della ricerca archeologica – alla riscrittura della storia dei tempi di Traiano.

Scopriamo le dinamiche delle battaglie, i rapporti tra i membri della dinastia regnante e il Senato, il trattamento delle provincie conquistate, la politica delle infrastrutture, in poche parole la creazione di quello che è stato uno dei più vasti imperi di sempre, esteso dall’Atlantico alle sponde dell’oceano Indiano. Un’immersione nella cultura, nel senso più alto del termine, che come per incanto accomuna tutti i partecipanti, con il pregiudicato che rimette il naso fuori per la prima volta dopo 11 anni e scambia serenamente le sue impressioni con l’agente di polizia. Per chiudere in bellezza, i detenuti lavoranti nelle cucine del carcere mostrano tutto il loro orgoglio donando cibo agli ospiti della chiesa di Sant’Eustachio. È il reinserimento sociale, il tentativo di abbattere la recidiva che tutti ci proponiamo.


Non si fa in tempo a riprendersi da tutto ciò che una telefonata mi fa ripiombare nella quotidianità più triste: la scuola da cui dipendo mi comunica che sono “soprannumerario”, cioè perdente posto e costretto a fare domanda di trasferimento entro 24 ore. Sulla trentina di insegnanti di Rebibbia, siamo in 17 a rincorrere per ore comunicati ufficiali e ufficiosi, ricostruzioni di carriera, allegati, dichiarazioni, graduatorie, codici di distretti, organici di fatto e di diritto, classi e cattedre, istanze, reclami, gare di solidarietà e un’infinita serie di telefonate ed email davvero sfiancanti.

Fino a prima di cena resta solo il Dsga, cioè il segretario, a gestire la situazione senza segreterie (anch’esse svuotate dai tagli degli scorsi anni) e tenere aperta la scuola senza Ata, cioè personale ausiliario. La mattina, alla consegna delle domande, va tutto in tilt: uffici chiusi, porte sbattute, grida di protesta, minacce di denunce, sindacati sul piede di guerra, organizzazione di sit-in.

Succede tutti gli anni, ormai: quando la stanchezza dell’anno in via di conclusione si fa sentire, il caldo dell’estate romana, particolarmente umido all’avvio, infierisce in un turbinio di zanzare-tigre che aggrediscono i polpacci tra relazioni finali, sintesi di competenze, scrutini agguerriti con sistemi digitali mal funzionanti e misconosciuti ai più, mentre si attende con trepidazione l’inizio degli esami di Stato sperando in commissioni esterne “normali”, arrivano puntuali i tagli delle classi e degli organici dei docenti di Rebibbia. Qualcuno, in preda alla disperazione che certamente altera le percezioni, azzarda un’ardita immedesimazione con i profughi della nave Aquarius, anche noi in cerca di un porto sicuro, chissà se c’è un buon carcere a Valencia?

Ed ecco che in un attimo torna il sereno: sullo schermo di un pc appaiono nuovi organici rimaneggiati, alcune classi sono ricomparse, si formano le cattedre-orario, ci sono i completamenti. Tornano i sorrisi ma purtroppo non per tutti: tra quelli che restano soprannumerari compare la situazione più paradossale, la collega che ha già fatto la festa per il pensionamento. Non avendo ancora una disposizione scritta è ancora tenuta a fare domanda di trasferimento. Per dove? Per un posto dove a settembre ovviamente non ci sarà. Tutti si chiederanno chi sia il titolare di cattedra: lei starà al mare, auspicabilmente, a godersi il suo tempo e il posto potrebbe restare scoperto in attesa che sia nominato un supplente; o forse, più probabilmente, i colleghi in attività dovranno farsi in quattro per sostituirla. Piccole incongruenze. Non possiamo che sperare che col nuovo governo questa “buona scuola” diventi migliore.

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