In un’epoca di urla, di slogan sguaiati, di totale assenza di valori da ogni retorica pubblica ci manca. Ci manca e ci mancano i suoi silenzi, ci manca quel suo sguardo profondo, quel suo riflettere prima di parlare e quel suo parlare lento, attento. Sì Mario Rigoni Stern ha lasciato un vuoto, che sembra ancora più grande se si confronta la sua figura con molti personaggi pubblici dell’oggi. I suoi occhi, benché anziani, continuavano a portare il peso di una tragedia, quella della guerra e della responsabilità che questa comporta. Ricordo una sua intervista televisiva, quando il conduttore gli chiese quale era la domanda più difficile che gli era stata posta, lui pensò a lungo, poi con voce bassa rispose: “Quando i bambini mi chiedono se ho ammazzato in guerra”. Era triste, mentre lo diceva e in un’altra sede ha aggiunto: “Quelli che ho ucciso non li ho uccisi con l’intenzione di uccidere, ma soltanto per difendermi dal mostro della guerra. E quelli che ho salvato, ho salvato soltanto per amicizia o per dovere”.

La guerra gli aveva insegnato il rispetto anche e soprattutto per il nemico. Questa era la grande lezione che ne aveva tratto. Lo ha raccontato magistralmente in quell’episodio del Il sergente nella neve, quando va per ispezionare una isba mezza coperta dalla neve. Entra e vede tre soldati russi che mangiano la minestra. Si guardano, sono armati, anche lui lo è. La padrona di casa, senza dire nulla, offre un piatto di zuppa anche a lui. Mangia insieme ai russi, poi si alza ed esce. Un momento magico, in cui la guerra sembrava essersi sospesa, in cui i valori dell’umanità hanno sopravanzato quelli della nazione, della politica. “In quell’isba – ha scritto – si era creata tra me e i soldati russi e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini“.

Oggi vediamo uomini politici giocare con la vita delle persone, li vediamo insultarsi, offendersi, pronunciare frasi irrispettose per poi abbracciarsi un attimo dopo, li vediamo usare linguaggi che umiliano le principali istituzioni del Paese. Il tutto per qualche manciata di voti. Che differenza con quei giovani come Mario Rigoni Stern e come i suoi coetanei russi che hanno saputo riconoscere l’uomo in chi avevano davanti!

Ci lasciava dieci anni fa, Rigoni Stern, nel silenzio del suo bosco di Asiago di cui conosceva ogni piega, ogni ruga. Di cui sapeva leggere i rumori, ma anche e soprattutto i silenzi. Silenzio, di questo avremmo bisogno, oggi. Silenzio per imparare a stare soli con noi stessi, disconnessi dalla rete ma legati alla natura e alle altre persone. Ricuperare quella capacità di provare empatia per gli altri, riconoscerli, anche se diversi, e rispettarli, soprattutto perché diversi.

Riprendiamo in mano i suoi libri, ritorniamo per qualche istante a passeggiare con lui nel bosco e soprattutto ricordiamo quel suo sguardo. C’è ancora molto da imparare.

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